La vuota retorica sul dialogo con l'islam e l'esempio (sbagliato) di san Francesco
Appunti per quei compassionevoli che predicano il confronto con l'altro tirando in ballo a sproposito l'incontro tra il santo e il sultano al Kamil
Al direttore - A fronte di fatti, numeri e cifre – magistralmente documentati da Matteo Matzuzzi sabato scorso su queste colonne – che dicono di una realtà di crescente persecuzione dei cristiani nel mondo, il fatto che il martirio di migliaia di persone ogni anno avvenga prevalentemente in paesi islamici sembra essere un dato del tutto ininfluente nel dibattito politico e culturale occidentale. Allo stesso modo in cui quando le nostre vite vengono sconvolte dall’ennesimo attacco terroristico, per pura pavidità e salvo rarissime eccezioni ci si guarda bene dal chiamare le cose col loro nome (se è vero che non tutti gli islamici sono terroristi è altrettanto vero che la stragrande maggioranza dei terroristi è islamica, vorrà mica dire qualcosa?), quando la cronaca racconta di episodi di violenza e persecuzione contro i cristiani scatta implacabile lo stesso meccanismo delle denunce a mezza bocca, delle dichiarazioni fumose con il solito sgradevole retrogusto di una compassione pelosa, quando non si tratti di un assordante silenzio.
Ad aggravare la situazione, la riproposizione come un disco rotto di una retorica del dialogo e del rispetto dell’altro fatta non solo di luoghi comuni triti e ritriti ma anche di una narrativa che attinge a storie che con il dialogo, quello vero, non hanno nulla a che vedere. Un esempio su tutti, il famoso episodio dell’incontro tra san Francesco e il sultano d’Egitto Malik Al Kamil, avvenuto a Damietta nel 1219, spesso e volentieri citato (anche di recente) a mo’ di icona del giusto atteggiamento da adottare nel “dialogo” tra l’occidente e l’islam. Episodio di cui però si dimentica (o si fa finta di dimenticare) un paio di particolari che risultano invece decisivi per evitare strumentalizzazioni e fraintendimenti. Primo, san Francesco non parlò col sultano così, tanto per farci due chiacchiere e confrontarsi sulle reciproche fedi, ma per annunciargli il Vangelo nella speranza di convertirlo a Cristo (lui e tutti i saraceni che incontrò sul suo cammino), come testimoniano le fonti e gli studiosi più autorevoli, fedelmente a quella che è la missione di ogni cristiano; a riprova, ecco cosa scrisse di quell’incontro san Bonaventura nella sua “Leggenda maggiore”: “Quel principe (il sultano, ndr) incominciò a indagare da chi, e a quale scopo e a quale titolo erano stati inviati e in che modo erano giunti fin là. Francesco, il servo di Dio, con cuore intrepido rispose che egli era stato inviato non da uomini, ma da Dio Altissimo, per mostrare a lui e al suo popolo la via della salvezza e annunciare il Vangelo della verità. E predicò al Soldano il Dio uno e trino e il Salvatore di tutti, Gesù Cristo, con tanto coraggio, con tanta forza e tanto fervore di spirito, da far vedere luminosamente che si stava realizzando con piena verità la promessa del Vangelo: ‘Io vi darò un linguaggio e una sapienza a cui nessuno dei vostri avversari potrà resistere o contraddire’ (Lc 21,15)”.
Il racconto prosegue dicendo che il Sultano ascoltava volentieri san Francesco pregandolo di restare con lui, al che il santo rispose lanciando la famosa sfida: “Se, tu col tuo popolo, vuoi convertirti a Cristo, io resterò molto volentieri con voi. Se, invece, esiti ad abbandonare la legge di Maometto per la fede di Cristo, dà ordine di accendere un fuoco il più grande possibile: io, con i tuoi sacerdoti, entrerò nel fuoco e così, almeno, potrai conoscere quale fede, a ragion veduta, si deve ritenere più certa e più santa”. Sfida che il Sultano si guardò bene dall’accogliere per timore, dice san Bonaventura, “di una sedizione popolare”. Secondo punto, san Francesco si recò dal sultano Al Kamil a seguito dei crociati (leggi bene: cro-cia-ti), ai quali si era unito insieme a tantissimi altri pellegrini dell’epoca, desiderosi unicamente di liberare i luoghi santi del cristianesimo, in primis il Santo Sepolcro, occupati manu militari dai musulmani. Come si vede un atteggiamento, quello del santo di Assisi, lontano anni luce tanto da certa iconografia pacifista quanto da una miope cultura del dialogo che, anche in ambito cattolico, continua a guardare al dito per non vedere la luna. Chiudo con una domanda volutamente provocatoria: da zero a dieci, quante probabilità ci sono di assistere di nuovo a un “dialogo” simile a quello tra san Francesco e il sultano?
Vangelo a portata di mano