Caccia al cattolico

Matteo Matzuzzi

La rivista liberal americana Commonweal fa a pezzi il rapporto della Pennsylvania sugli abusi. Un problema anche per Roma

Roma. Il rapporto del gran giurì della Pennsylvania, che in diretta tv la scorsa estate annunciava l’elenco di vescovi e preti cattolici rei di immonde e inenarrabili coperture di abusi sessuali su minori dal 1945 a oggi, è “irresponsabile, inaccurato e ingiusto”. Insomma, “non è quel che sembra”. A scriverlo, in un lungo articolo apparso sulla rivista americana Commonweal, autorevole casa degli intellò cattolici liberal d’oltreoceano, è stato l’ex direttore Peter Steinfels, opinionista anche del New York Times.

  

 

Steinfels si è letto tutte le 1.356 pagine del dossier presentato coram populo ad agosto, e non solo le “dodici pagine di introduzione” e le storiacce d’abuso sparse nel documento. Dalla lettura completa, la situazione si ribalta. Certo, le violenze ci sono state, dice Steinfels, ma dire che “tutte le vittime sono state ignorate dai capi della chiesa che hanno preferito proteggere, innanzitutto, i molestatori e le loro istituzioni è gravemente fuorviante”. Scorrendo le pagine, infatti, questa tesi è “contraddetta dalle testimonianze presentate al gran giurì, ma ignorate”.

 

Un migliaio di pagine che puntano non tanto a smascherare responsabili e protettori, ma ad assestare un colpo il più violento possibile alla chiesa come istituzione. “L’opinione prevalente sugli abusi sessuali da parte del clero cattolico come profondamente radicati, continuati e considerati unicamente cattolici, è oramai così parte integrante del racconto mediatico da renderla resistente a qualsiasi dimostrazione di prova contraria”. Non è, si potrebbe aggiungere, una peculiarità del puritanesimo moralista americano: basta salire sul palcoscenico allestito a Lione, dove in questi giorni è andato in scena il j’accuse al cardinale Philippe Barbarin, con la teoria di testimoni-vittime che in un’unica voce imputavano all’arcivescovo di aver taciuto sui misfatti vecchi di trenta-quarant’anni di un sacerdote abusatore. E si potrebbe andare anche più lontano, in Australia, dove vescovi e cardinali vengono portati alla sbarra, distrutti – prima ancora che dalle inchieste giornalistiche – da libri e interviste da talk-show domenicale, e in qualche caso assolti (mons. Philip Wilson, di Adelaide), dopo la gogna pubblica e infamante.

 

 

Un’operazione che ha lambito anche il Vaticano, se è vero che le notizie sul conto del cardinale Theodore McCarrick prima e il dossier della Pennsylvania poi hanno fatto ripiombare la chiesa americana nel tunnel nero già attraversato un ventennio fa, con Roma che per far fronte allo scandalo invocava purificazione –  agli esercizi spirituali dei vescovi statunitensi chiamati a fare penitenza e a riflettere sulla “crisi della credibilità” e a lottare contro “la cultura dell’abuso” è stato mandato perfino padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa pontificia – toglieva la berretta dalla testa di porporati un tempo sulla cresta dell’onda, convocava una grande riunione di tutti i capi degli episcopati nazionali per dibattere di abusi sessuali, bloccando anche le misure che la Conferenza dei vescovi statunitensi voleva adottare senza attendere il mini Sinodo di febbraio. 

 

Una riunione che già si preannuncia come una piccola Norimberga per la chiesa d’oltreoceano e per i “lupi atroci pronti a divorare le anime innocenti”, come ha detto il Papa nel messaggio di auguri natalizi alla curia romana, lo scorso dicembre. Con eccezionale copertura mediatica già annunciata, visto che i panni sporchi non si lavano più in famiglia. Peccato che il grimaldello che ha fatto scattare se non tutto, molto, fosse balordo.

 

Un rapporto in cui manca –  scrive Steinfels –  “il senso della storia”: si considerano “oltre sette decenni come fossero un blocco unico”, come se le risposte date dalle autorità negli anni Quaranta – con gli strumenti a disposizione per contrastare il fenomeno – fossero le stesse degli anni Duemila. Naturale dunque domandarsi “cosa si scoprirà sugli abusi sessuali nelle scuole pubbliche o nelle strutture penali minorili andando ad esaminare settanta-ottant’anni” di storia passata.

 

“Ritengo – scrive Steinfels – che il gran giurì avrebbe potuto ottenere risultati precisi, accurati, istruttivi e incisivi su quanto diversi leader della chiesa hanno e non hanno fatto, su ciò che è stato fatto in modo abituale in alcuni luoghi e in alcuni decenni”. Peccato invece che il gran giurì abbia “scelto una strada più adatta al nostro mondo abituato alle iperboli, agli slogan, alla postverità con le sue affermazioni sugli immigrati stupratori e assassini, caccia alle streghe e complotti dei poteri forti”. E così i vescovi – tutti – diventano complici di un sistema che va abbattuto. Un’accusa “orrenda, indiscriminata e provocatoria” che “non trova fondamento nelle prove stesse del rapporto”, il che è “indegno di un’autorità giudiziaria responsabile di un’inchiesta parziale”.

 

Ma qual è la ragione dell’attacco frontale? Sempre il solito: i risarcimenti milionari. Tra le raccomandazioni, infatti, si chiede di eliminare la prescrizione ed è facile intuire che andando a scavare indietro di un settantennio si costringerebbero interi enti ecclesiastici a finire in bancarotta. Una mossa che punirebbe “non i predatori o i funzionari colpevoli, nella maggior parte dei casi morti o senza alcun bene, ma i cattolici che non hanno nulla a che fare con quanto accaduto”. Il modello “Spotlight”, insomma, che all’inizio del secolo ha piegato – spiritualmente e finanziariamente – la diocesi di Boston.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.