Newman e Mindszenty agli onori degli altari in nome del rifiuto di ogni compromesso col mondo

Matteo Matzuzzi

Papa Francesco ha deciso: il primo sarà santo, il secondo venerabile. Chi sono i due giganti della chiesa moderna

Roma. John Henry Newman sarà santo, József Mindszenty venerabile in attesa che anche lui salga all’onore degli altari. Lo ha deciso il Papa, che ieri ha autorizzato la congregazione per le Cause dei santi a pubblicare i decreti relativi –  tra gli altri – a questi due giganti della chiesa moderna.

 

Newman, il cardinale convertitosi dall’anglicanesimo al cattolicesimo convinto che la coscienza porti sempre l’uomo alla chiesa e Mindszenty, il vescovo ungherese già in vita martire dell’ideologia comunista. Vissuti in tempi diversi, sono uniti dalla ricerca costante della verità. Un credo non vale l’altro, ammoniva Newman, sottolineando che la religione “non è un affare personale o una proprietà privata”. Senza la luce della verità, scriveva sull’Osservatore Romano nel 2010 (anno della beatificazione a Birmingham presieduta da Benedetto XVI) Herman Geissler, massimo esperto del pensiero newmaniano, “l’uomo è privo di un sicuro punto di riferimento e la morale si riduce a soggettivismo, la vita pubblica si deforma a giochi di potere”. Una risposta chiara alla vulgata postconciliare che aveva fatto del cardinale inglese una sorta di araldo del pensiero relativista o addirittura neoprotestante. Nel 1990 il cardinale Joseph Ratzinger, pronunciando l’omelia nel centenario della morte, disse che in Newman è chiaro come “la via della coscienza è tutt’altro che una via della soggettività che afferma se stessa: è invece una via dell’obbedienza alla verità oggettiva”.

 

Un credo non valeva l’altro neppure per il primate ungherese, arrestato nel 1948 e condannato all’ergastolo dai custodi del dogma sovietico che era dilagato a Budapest dopo la Seconda guerra mondiale. Torturato, gli fu impedito di leggere i testi sacri, di pregare e perfino di inginocchiarsi. Una guardia era incaricata di interromperlo nel caso iniziasse a recitare le preghiere cristiane. Liberato nel 1956, all’arrivo dei carri armati di Mosca trovò rifugio nell’ambasciata americana, dove rimase fino al 1971. Esiliato in Austria, solo nel 1973 Paolo VI gli chiese di rinunciare all’incarico di primate d’Ungheria, ottenendo come risposta un rifiuto. Sarebbe apparso come un cedimento alla volontà degli usurpatori. E pazienza per la Ostpolitik casaroliana. Una resistenza che sarebbe stata piegata pochi mesi dopo, quando il Papa – a malincuore – lo sollevò dall’incarico. Un anno e mezzo dopo, nel 1975, Mindszenty morì. Nel 1991, crollato il Muro di Berlino, Giovanni Paolo II – appena messo piede nell’Ungheria liberata – volle recarsi in preghiera sulla tomba del vescovo martire: “Desidero rendere un cordiale omaggio alla cara e venerata memoria del compianto cardinale Józef Mindszenty che ha lasciato una luminosa testimonianza di fedeltà a Cristo e alla chiesa e di amore alla patria. Il suo nome e il suo ricordo rimarranno sempre in benedizione”, disse Karol Wojtyla. Mindszenty, con lo stesso amore per la verità che aveva John Henry Newman, avrebbe lasciato ai posteri un testamento spirituale che racconta bene in poche parole il secolo breve, che tante ferite lasciò anche sul corpo della chiesa: “Se dovessi ricominciare la mia vita, la comincerei come l’ho cominciata. E se ne vedessi chiaramente le conseguenze, farei ugualmente ciò che ho fatto”. Nessun compromesso, anche a costo di sacrificare la propria esistenza. Nessun abbraccio al mondo che gli domandava di mediare e rendersi un po’ malleabile in cambio di qualche spiraglio di falsa libertà e di qualche tranquilla passeggiata sulle rive del Danubio.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.