Il card. Pell e lo stuprato segreto. Roba da caccia alle streghe
Ragionevoli dubbi sulla “sessuomania satanica” del clero. La resa del Papa e la condanna, d’ora in poi, preventiva
Cito dalle cronache del New York Times, che con il Boston Globe è stato per vent’anni circa tribuna severissima nell’esporre gli abusi sessuali contro i bambini del clero cattolico, e altri abusi verso adulti vulnerabili. Si legge che il cardinale Pell, numero tre della chiesa cattolica fino a ieri, è stato condannato per aggressione sessuale, e rischia fino a cinquanta anni di carcere, da un tribunale australiano dello stato di Victoria. Da poco nominato arcivescovo di Melbourne, Pell – afferma la sentenza, pronunciata in nome di una giuria popolare dopo due anni di dibattimento – ha afferrato nel 1996 un chierichetto in sacrestia, nella cattedrale di San Patrizio, e lo ha stuprato oralmente, gli ha messo il pene in bocca. Data la circostanza e l’atto imputato, ha obiettato il difensore del cardinale, se lo condannate vuol dire che è pazzo, perché stuprare da vescovo un bambino in una sacrestia, al termine della messa domenicale, in un’Australia già piagata dal sospetto verso il clero, è un comportamento da insania mentale. Tuttavia Pell non è pazzo, come dimostrano tutta la sua vita pubblica e il suo lavoro, quindi vedete un po’ voi. E’ quello che in logica si dice un falso sillogismo, ma per me è convincente.
Io invece non sono convinto affatto, obietterà qualcuno, perché un accertamento giudiziario corretto supera l’inverosimiglianza, l’intrinseca inattendibilità del reato sanzionato ventitré anni dopo. Va bene. L’accertamento giudiziario corretto non si discute. Però, ecco, c’è un però. Noi non conosciamo e non conosceremo mai il nome del chierichetto che, vent’anni dopo il fatto, ha denunciato il cardinale per stupro orale. Il Nyt riferisce nel dettaglio l’occorrenza, spiegando che questo segreto vige per tutelare la vittima, rappresentata in giudizio da legali, comitati e attivisti, i protagonisti sul campo in Australia e nel resto del mondo della campagna di repulisti della chiesa cattolica dal satanismo sessuale di preti e vescovi. Fossi condannato per un reato di quella gravità, nel quadro di un accertamento giudiziario corretto, personalmente amerei che si conosca il nome di chi mi ha denunciato, vorrei sapere tutto dei modi della denuncia tardiva, desidererei apprendere in minuziosi dettagli chi sono e come hanno agito coloro che circondavano e consigliavano nell’azione legale il giovane chierichetto stuprato da me e ora fattosi uomo maturo, e l’opinione mondiale che guarda ed è chiamata a suffragare il giudizio dibattimentale forse avrebbe diritto anch’essa al nome, dovrebbe non accontentarsi dell’anonimato. Cinquant’anni di galera potenziali perché una persona di cui non si può conoscere il nome vent’anni dopo mi accusa di avergli infilato il pene in bocca in sacrestia? C’è qualcosa di più simile a una caccia alle streghe?
Ma l’obiettore, che non è Satana (il diavolo ormai agisce attraverso i preti, come ha più o meno detto Francesco) ma un uomo dabbene pieno di pudore e reverenza verso la giustizia umana, continuerà a argomentare così. George Pell è stato condannato da una regolare giuria popolare (nove maschi e tre femmine): chi siamo noi per giudicare ciò che una giuria ha stabilito al di là di ogni ragionevole dubbio? Ecco, ma anche qui c’è un problema serio. La sentenza arriva da un retrial, un riprocesso, perché la precedente giuria popolare non era arrivata a stabilire alcunché, hung jury. Il Nyt riferisce che alcuni giurati avevano confessato tra le lacrime di non essere in grado di fornire il loro giudizio, e questi furono in numero sufficiente a bloccare la sentenza. Una giuria, dunque, dice che non si può decidere che cosa successe o non successe in quella sacrestia nel 1996, un’altra, convocata ad hoc, rovescia l’alea del dubbio e sentenzia con sicurezza che le cose sono andate esattamente come ha testimoniato l’accusatore, il cui nome resterà in eterno segreto. Ho il dubbio che il cardinale non sia stato giudicato al di là di ogni ragionevole dubbio. E mi fido più della sua rivendicazione di non colpevolezza che del coro denunziante tragico, tra emozionalità e interessi consolidati al risarcimento, che canta da vent’anni la colpa della chiesa e dei suoi ministri ordinati, stavolta in forma che per me e per l’opinione universale è addirittura anonima.
E veniamo al convegno sinodale sugli abusi appena concluso a Roma. Hanno esposto ai vescovi e capi delle conferenze episcopali il racconto degli abusi e le testimonianze relative. Poi, dopo il trauma, messa e omelia e Angelus, e il rinvio alle trame di Satana. Per le decisioni a rimedio si rinvia a un Motu proprio del Papa e alle regole delle conferenze episcopali nazionali. Gli attivisti che hanno la delega di alcune vittime, chiamate “i sopravvissuti” degli abusi, una specie di riproduzione allargata della Shoah, si sono detti radicalmente delusi. E il New York Times, da sempre loro tribuna, ha segnato la rotta con un suo autorevole editoriale, che esprime l’opinione del direttore, dello staff e dell’editore, mentre le notizie stanno a sé nel paradiso del famoso e ultra-tautologico motto: “All the news that’s fit to print”, “tutte le notizie che è giusto pubblicare”. Il Nyt si guarda bene dall’entrare nel merito del reticolo di denunce e processi, ha un pregiudizio positivo o un supergiudizio: i fatti sono acclarati e riconosciuti, in tutto il mondo, almeno da quando diciassette anni fa il confratello Boston Globe espose la sistematica copertura degli abusi a Boston (Spotlight), e la loro dimensione ed estensione è devastante. Di fronte a questo fenomeno, il Papa – secondo il Times – si limita a condannare. Francesco, dicono, ha fatto molto per combattere la sessuofobia perversa della chiesa cattolica (convertita in sessuomania a sfondo pederastico, secondo le inchieste oggi alla moda, ndr) e alla morale familiare e tradizionale ha sostituito un vibrante appello all’amore e alla misericordia, ma il risultato è alla fine una condanna verbale impotente e un rinvio per le regole alle conferenze episcopali. Invece il Nyt ha una ricetta perentoria che segnala al Papa con perentorietà: i preti “credibilmente accusati di abusi” vanno esposti alla giustizia civile e ridotti allo stato laicale, e questo per decisione del sovrano pontefice. A parte che per la giustizia civile invocata esistono innocenti fino a prova contraria che devono essere dimostrati colpevoli attraverso un regolare processo, e questo forse dovrebbe valere anche per la disciplina ecclesiastica. Ma tra i credibilmente accusati si annovera anche il cardinale Pell, denunziato e condannato in un riprocesso da un chierichetto che dice di essere stato violentato oralmente vent’anni prima e il cui nome, anche per il Nyt, resterà sconosciuto?
Vangelo a portata di mano