È passata una settimana e Avvenire cambia già idea sul farmaco gender
Niente più toni battaglieri sul quotidiano della Conferenza episcopale italiana, ora bisogna usare misericordia
Roma. Laura Palazzani, vicepresidente del Comitato nazionale di Bioetica, la scorsa settimana ha difeso in un’intervista rilasciata a Vatican News – il portale informativo della Santa Sede – il via libera dell’Aifa alla prescrizione “a totale carico del Servizio sanitario nazionale” della triptorelina, il farmaco che blocca la pubertà. Sarà per l’augusta tribuna che ha ospitato le parole di Palazzani, sta di fatto che tanto è bastato per far cambiare opinione sul tema ad Avvenire, il quotidiano della Conferenza episcopale italiana. Prima pronto alla battaglia contro “il farmaco gender”, poi molto più blando nel dire che insomma, la questione è complicata, “c’è bisogno di una lettura morale” e che è meglio evitare “usi strumentali”. Tanto poté, evidentemente, la presa di posizione vaticana.
Cogliere l’inversione di linea è semplice, basta affiancare i due grandi articoli dedicati al tema da Luciano Moia – firma di punta del quotidiano – che il 6 marzo scorso scriveva: “Tutto inutile. La triptorelina, il potente farmaco antitumorale che ha tra i suoi effetti collaterali quello di sospendere la pubertà, potrà essere prescritto a totale carico del Servizio sanitario nazionale”. “Inutili gli inviti alla cautela arrivati dagli stessi medici che si occupano di un disturbo dalle mille ombre che si chiama disforia di genere. L’Agenzia del farmaco si dice convinta che l’antitumorale si possa utilizzare senza problemi”. Osservava però Moia che “naturalmente non è così. Sull’uso della triptorelina i dubbi esistono eccome. A cominciare dai motivi che consiglierebbero di sospendere lo sviluppo della pubertà a un adolescente in presenza di diagnosi di disforia di genere”. Toni severi, si ricordava in pagina che “nessuno conosce in realtà i rischi derivanti da questa scelta farmacologica che incide a livello ormonale ma anche sul piano cognitivo”. E ancora, sempre il 6 marzo, si lodava Assuntina Morresi, “la sola voce fuori dal coro” che all’interno del Comitato nazionale di bioetica aveva preso le distanze dalla decisione dell’Aifa. Un sì, quello del Comitato, definito da Avvenire “paradossale”.
Passa una settimana, parla sul sito del Vaticano la vicepresidente Palazzani, e Avvenire cambia rotta. Sempre Luciano Moia, ieri a pagina 3: “Questioni complesse, delicate e controverse che sarebbe assurdo pensare di definire con una norma valida per tutte le circostanze. Il dibattito acceso dal ‘via libera’ deciso dall’Aifa, per quanto riguarda la prescrivibilità della triptorelina nei casi disforia di genere, ha scatenato una ridda di osservazioni e di commenti – a proposito e a sproposito – che hanno finito per far passare in secondo piano l’autentico snodo della questione. Ma – aggiunge prudentissimo l’editorialista – per evitare di trasformare in una contesa da stadio una questione umana, morale e scientifica tanto difficile, occorre infatti tenere presente che siamo di fronte a un problema di frontiera”. E, soprattutto, che “nessuno, né scienziati, né bioeticisti né teologi morali, ha su questo argomento la verità in tasca”. Quindi, cercando in qualche modo una giustificazione, ecco venire incontro il Papa: “Forse, dal punto di vista etico, stiamo percorrendo una di quelle periferie a cui ha fatto cenno Papa Francesco quando, al n.3 di Amoris laetitia, ha scritto: ‘Non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero”. A seguire la scontata difesa delle parole di Laura Palazzani, che – scrive Moia – “si è limitata a ricordare che il documento del Comitato di bioetica ha espresso parere favorevole all’utilizzo della triptorelina ma ‘solo in casi molto circoscritti”. Come se questo cambiasse le cose, visto che sono proprio quei casi “molto circoscritti” a rappresentare il problema. Avvenire riporta qualche parere dei dubbiosi, di quelli che “certo, non sono d’accordo” – nessun riferimento stavolta a Morresi, una settimana fa lodata come “la sola voce fuori dal coro” – ma appelli vari alla misericordia, che si porta sempre – anche se il Papa ha definito il gender “una bomba atomica” – e chiosa finale assai ecumenica: “Non bisogna mai dimenticare che siamo di fronte a persone afflitte da una sofferenza che può essere distruttiva e che l’obiettivo è prendersene cura”. Dubbi archiviati e giravolta assicurata.