La natura politica della complicata intesa tra la chiesa e la Cina
Il cardinale Parolin ribadisce i motivi dell’intesa con Pechino (anche a costo di cedere qualcosa)
Roma. A pochi giorni dalla visita del presidente cinese Xi Jinping in Italia – non è previsto alcun incontro con il Papa, benché sia ancora possibile, non essendo necessari grandi preparativi per un incontro privato –, va in libreria La Chiesa in Cina (Ancora-La Civiltà Cattolica), saggio curato da padre Antonio Spadaro che conta sulla prefazione del segretario di stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin. Quest’ultimo è il massimo conoscitore oltretevere del dossier cinese, se non altro perché ci lavora da più di un decennio, avendo collaborato anche alla stesura della “Lettera ai cattolici cinesi” di Benedetto XVI pubblicata nel 2007. Parolin, nella sua prefazione, mette alcuni punti fermi rispetto allo stato dei rapporti tra la Santa Sede e Pechino, quanto mai utili dopo la firma dell’Accordo provvisorio dello scorso settembre che ha portato ad avviare un percorso che – prima o poi – porterà anche al ristabilimento di rapporti diplomatici tra le due entità statali.
Il segretario di stato ribadisce quel che è noto, e cioè che “l’Accordo provvisorio costituisce non tanto un punto di arrivo, quanto piuttosto un punto di partenza”, anche perché “il cammino dell’unità non è ancora interamente compiuto e la piena riconciliazione tra i cattolici cinesi e le rispettive comunità di appartenenza rappresenta oggi un obiettivo prioritario”. Quindi, ricordato che “è quanto mai necessario che anche in Cina prenda avvio progressivamente un cammino serio di purificazione della memoria”, si arriva al cuore del problema: “L’annuncio del Vangelo in Cina non può essere separato da un atteggiamento di rispetto, di stima e di fiducia verso il popolo cinese e le sue legittime autorità”. E’ il punto centrale, quello che ha lacerato gli animi e portato il vescovo emerito di Hong Kong, il cardinale Joseph Zen Ze-kiun, a tuonare contro la Santa Sede e – in particolare – contro il segretario di stato, accusato di sacrificare la sofferenza dei cattolici e il martirio di tanti preti e vescovi sull’altare dell’interesse politico a tessere relazioni ufficiali con il regime comunista di Pechino. Secondo Zen e i seguaci (non pochi) della sua linea, o si sta con i cattolici che non si fanno concupire dal regime o si scende a compromessi: tertium non datur. Non vi è possibilità di mediazione tra il bianco e il nero, in questo caso. Nella prefazione al volume, Parolin spiega che “neanche oggi la chiesa dimentica il sacrificio di tanti suoi figli in Cina, ma proprio guardando al loro esempio si interroga sui modi più opportuni per raggiungere coloro che ancora non conoscono la Buona novella e si attendono una testimonianza più alta da parte di quanti portano il nome cristiano”.
E’ una linea di realismo politico nell’accezione ottocentesca coniata da Ludwig Von Rochau, che si basa sul puro pragmatismo: avviare un processo, concedendo quanto possibile e cercando di ricavare uno spazio di manovra. In questo caso, il segretario di stato ricorda che “le finalità proprie della Santa Sede rimangono quelle di sempre: la salus animarum e la libertas ecclesiae. Per la chiesa in Cina, ciò significa la possibilità di annunciare con maggiore libertà il Vangelo di Cristo e di farlo in una cornice sociale, culturale e politica di maggiore fiducia”. Sul terreno la situazione è complessa e non sempre di facile lettura, prova ne è quanto dichiarato la scorsa settimana dal presidente della commissione nazionale del Movimento patriottico delle tre autonomie, secondo il quale il cristianesimo “deve affrontare con più impegno la propria sinizzazione, secondo i dettami del presidente Xi Jinping, e deve combattere contro le influenze straniere che vogliono sovvertire lo stato attraverso la fede”. Quel che manca, ha sottolineato il funzionario, è “una vera coscienza nazionale”. Da qui la massima che non necessita di troppe parafrasi: “Un altro cristiano, un cinese in meno”.
Proprio sulla Civiltà Cattolica, un anno fa, veniva pubblicato un articolo firmato da Benoît Vermander in cui ci si soffermava sulla questione della necessaria sinizzazione. Scriveva il gesuita che “rendere più cinesi le religioni non vuol dire semplicemente sviluppare un rituale locale e una prospettiva dottrinale, ma in primo luogo aderire alla definizione di cultura cinese proposta dalla stessa relazione del presidente Xi al XIX Congresso”. Una definizione che è “di natura politica”. E’ su questo punto – a dir poco complesso e che necessiterà di lunghe trattative – che si determinerà il successo (o l’insuccesso) dell’intesa tra la Santa Sede e Pechino.