Dove punta il fulmine di Benedetto XVI
La pedofilia, il “sentire conciliare”, la falsa “liberazione morale” degli anni Sessanta. “C’è chi ha cercato di sviluppare una nuova cattolicità”. Il problema è che “anche noi sacerdoti non parliamo di Dio”. Gli appunti del Papa emerito
Roma. “Io continuerò ad accompagnare il cammino della chiesa con la preghiera e la riflessione”, aveva detto Benedetto XVI nel corso della sua ultima udienza generale. Proposito rispettato, come dimostra da ultimo il testo diffuso ieri, “gli appunti” pubblicati da diverse testate internazionali e destinati ad apparire sul mensile bavarese Klerusblatt. L’errore da evitare è pensare che questo scritto abbia a che fare solo e soltanto con la pedofilia nella chiesa. Sono pagine che dicono molto di più, perché anziché soffermarsi sui provvedimenti da prendere contro i vescovi sciagurati o i preti abusatori, vanno all’origine del problema, della grande crisi che il mondo – e la chiesa che di questo mondo fa parte – affronta da più di mezzo secolo. Joseph Ratzinger mette insieme i pezzi e rende una testimonianza lucida, molto più delle accuse nervose di quanti – fautori della parresia a giorni alterni – vedono nel testo un’intrusione nel magistero di Francesco.
L’Osservatore Romano ne ha dato conto a pagina 7, in fondo. Benedetto dice: va bene tutto, vanno bene i vertici in Vaticano con i presidenti delle conferenze episcopali nazionali, le discussioni tra presuli, le misure da adottare per contenere le esuberanze sessuali. Va bene tutto. Purché si capisca che il problema è che non si crede più in Dio. Non ci credono più neanche preti e vescovi, sembra dire tra le righe. E se non ci credono loro, figurarsi il mondo. “Una società nella quale Dio è assente è una società che perde il suo criterio. Quando in una società Dio muore, essa diviene libera, ci è stato assicurato. In verità, la morte di Dio in una società significa anche la fine della sua libertà, perché muore il senso che offre orientamento”. La terza parte dello scritto, intitolata “Alcune prospettive”, è quella più densa. La società occidentale, scrive Ratzinger, “è una società nella quale si perde sempre più il criterio e la misura dell’umano. In alcuni punti, allora, a volte diviene improvvisamente percepibile che è divenuto addirittura ovvio quel che è male e che distrugge l’uomo. E’ il caso della pedofilia”.
Ecco, allora, la domanda: “Come ha potuto la pedofilia raggiungere una dimensione del genere? In ultima analisi il motivo sta nell’assenza di Dio. Anche noi cristiani e sacerdoti preferiamo non parlare di Dio, perché è un discorso che non sembra avere utilità pratica”. Vi sono passaggi drammatici, come quando racconta l’incontro con una ragazza che serviva all’altare come chierichetta e che fu abusata dal suo vicario parrocchiale. Questi “introduceva l’abuso sessuale che compiva su di lei” dicendo “questo è il mio corpo che è dato per te”. Si torna al problema reale, “è evidente che quella ragazza non può più ascoltare le parole della consacrazione senza provare su di sé tutta la sofferenza dell’abuso subìto. L’inizio della crisi risale agli anni Sessanta, quando trionfò la cosiddetta “liberazione morale”, che fu anche sessuale. E’ in questo periodo che “si è verificato un collasso della teologia morale cattolica che ha reso inerme la chiesa di fronte a quei processi nella società”.
Si finì con l’affermare la tesi “per cui la morale dovesse essere definita solo in base agli scopi dell’agire umano”. Insomma, osserva il Papa emerito, “non poteva esserci né qualcosa di assolutamente buono né tanto meno qualcosa di sempre malvagio, ma solo valutazioni relative. Non c’era più il bene, ma solo ciò che sul momento e a seconda delle circostanze è relativamente meglio”. Una china che negli anni Ottanta assunse risvolti drammatici, dalla “Dichiarazione di Colonia” del 1989 con la quale quindici eminenti professori di teologia criticavano il rapporto fra magistero episcopale e compiti della teologia, alle bordate di quanti minacciavano che se il Papa – Giovanni Paolo II – avesse scritto un’enciclica per dire che ci sono azioni che sempre sono malvagie, la reazione sarebbe stata fortissima. La crisi affonda insomma le proprie radici lontano e “il processo di dissoluzione della concezione cristiana della morale ha conosciuto una radicalità come mai c’era stata prima di allora. Questa dissoluzione dell’autorità dottrinale della chiesa in materia morale doveva necessariamente ripercuotersi anche nei diversi spazi di vita della chiesa”. Nei seminari “si formarono club omosessuali che agivano più o meno apertamente e che chiaramente trasformarono il clima nei seminari”. Niente è risparmiato, neppure la critica a quel “sentire conciliare” che venne “inteso come un atteggiamento critico o negativo nei confronti della tradizione vigente fino a quel momento, che ora doveva essere sostituita da un nuovo rapporto, radicalmente aperto, con il mondo”. Si voleva “sviluppare una specie di nuova, moderna cattolicità”.
Qui Ratzinger si concede una parentesi autobiografica, quando ricorda che “in non pochi seminari, studenti sorpresi a leggere i miei libri venivano considerati non idonei al sacerdozio. I miei libri venivano nascosti come letteratura dannosa e venivano per così dire letti sottobanco”. Era ormai considerato “conciliare solo il cosiddetto garantismo. Significa che dovevano essere garantiti soprattutto i diritti degli accusati e questo fino al punto da escludere di fatto una condanna”. E allora, data la situazione apocalittica, “cosa dobbiamo fare? Dobbiamo creare un’altra chiesa affinché le cose possano aggiustarsi? Questo esperimento è stato già fatto ed è fallito”, scrive Benedetto XVI, che aggiunge: “L’idea di una chiesa migliore creata da noi stessi è in verità una proposta del diavolo con la quale vuole allontanarci dal Dio vivo, servendosi di una logica menzognera nella quale caschiamo sin troppo facilmente. No, anche oggi la chiesa non consiste solo di pesci cattivi e di zizzania”.