E' giusto che Ratzinger giudichi, ne va del bene e del male
La morte di Dio è niente in confronto alla prematura scomparsa del Diavolo
Caro Adriano, te la sei cavata magistralmente, nella “piccola posta” di ieri. Ratzinger è un piccolo credente spaurito, che rimpiange un’epoca in cui era di rigore la condanna. Ma “chi sono io per giudicare?”, così concludi con il suo successore. Ben trovato, ma è un sofisma. A essere laici, ammiratori della democrazia ateniese per esempio, un sofisma è anche un ragionamento ben costruito, ma non si risolve in un concetto definito e fermo, resta singolare e inafferrabile nella sua astrazione, non realizza un adeguamento dell’intelletto e della cosa, non fonda una conoscenza intellettuale e reale del reale. Socrate e Tommaso non sono d’accordo con te, sei sulla linea di Schopenhauer e Nietzsche; e sono, per dirla con il creatore di Valmont e della marchesa di Merteuil, relazioni pericolose. Il Papa regnante può ignorare come un fastidio gli imbarazzi della cultura, può praticare il relativismo cristiano, può dire da pastore che se ne fotte, non dico della teologia morale, ma della differenza oggettiva tra bene e male, una questione di mera interpretazione, che è il vero tema dello scritto di Ratzinger, tu no, tu non sei un pastore, nemmeno dell’essere, tu non puoi eludere quella differenza e la necessità apocalittica di giudicare.
In un senso particolare, Ratzinger, che è tra coloro, pochissimi, che hanno pensato con penetrazione il segreto evidente del nostro tempo, può essere un piccolo credente. Semplifica, anche per civetteria (una meravigliosa qualità del suo stile teologico e storico). Tira in ballo i preti che dopo il Concilio se ne sono andati all’inseguimento dell’amore, del piacere collegato all’amore e a forme varie di disamore, insomma di quel pieno di umanità di cui sono lastricate per il piccolo credente clericale le vie dell’inferno. Io gli lascerei il diritto a questa semplificazione secondo la quale gli anni dal 1960 al 1980 sono stati un continuo andare in brodo di giuggiole amorose, che poi sarebbe l’appagamento libertario della sessualità, cioè la sessualità disponibile, non più trasgressiva e inquieta. Gli lascerei il diritto di lamentare un certo acquisito statuto ideologico della pedofilia come espressione freudiana del perverso polimorfo nei bambini. Lo lascerei anche dire che c’erano i club omosessuali, le proiezioni in sagrestia di film pornografici, la proibizione dei suoi libri casti sul cristianesimo, e altro ancora. D’altra parte non è, quella a favore della castità, che non è necessariamente astinenza ma le somiglia, una posizione solo cristiana o ecclesiastica, un capriccio dell’Infâme: Joubert diceva che senza la castità tutte le altre virtù sono nulle, perché non costano nulla in paragone, posizione aforistica estrema, d’accordo, ma Joubert era il segretario di Diderot. La castità dunque costa, e il fatto di non voler pagare quel prezzo, distinguendo tra bene e male, e insistendo con la Veritatis splendor che esistono atti intrinsecamente malvagi, può ben irritare o sorprendere un piccolo credente come un grande pontefice o il suo predecessore, un santo appena sfornato. Perdonali. Chi sei tu per giudicare?
Ratzinger è preoccupato – è poi questo il suo appello alla teologia morale – della diversa natura della verità e della menzogna, che mi sembra tema non solo moderno ma contemporaneo. Dio non è un fake, vuole dire. La sua soluzione è l’amore di Dio, l’abbandono a Dio, comprensibile ma difficile.
La nostra soluzione non può essere l’amore per i diritti dell’uomo, l’abbandono ai diritti dell’uomo, una designazione astratta dell’uomo come Essere Supremo che giudica in causa propria. La sessualità cosiddetta, come la castità, non è un diritto o un dovere, è un problema. La chiesa cattolica è, come ricorda lo psichiatra Serge Besançon in un bel saggio appena pubblicato da Commentaire, madre e sposa, e questo non è un sofisma, è una metafora. Preti abusivi e vittime sono suoi figli. Dove noi vediamo un abuso legale e morale, un reato contro la persona, la chiesa vede un incesto, la distruzione del tabù della famiglia. Ne è atterrita, non sa che fare, si sente incatenata al giudizio degli uomini e dei media, lei che è sotto il giudizio inappellabile di Dio. Benedetto XVI ha testimoniato con la rinuncia, e con questo breve scritto testamentario, lo smarrimento della sua organizzazione di fede. Non è una posizione femminista, e nemmeno rispettosa dello stato di diritto, lo so, ma è una posizione.
Al fondo della faccenda c’è qualcosa di grottesco, dal tempo della liberazione sessuale e riproduttiva abbiamo fatto fuori oltre un miliardo di bambini non nati, e allora che cos’è tutto questo struggimento affettato per le vittime degli abusi clericali se non un tentato assassinio della madre e sposa che è la chiesa, insomma una specie di femminicidio? Insomma, caro Adriano, bene e male si dissimulano e si integrano, lo sappiamo, ma la morte di Dio è niente in confronto alla prematura scomparsa del Diavolo. Un mio amico bizzarro e intelligente, posto di fronte al quesito sull’esistenza del Maligno, una volta si lasciò sfuggire la risposta perfetta: “Il Diavolo, purtroppo, non esiste”. Purtroppo?