La chiesa sta per rompersi
“Dopo il Sinodo di ottobre niente sarà più come prima”, avvertono i vescovi tedeschi. Tra fedeli in fuga e crollo delle entrate fiscali, lanciano ultimatum a Roma per cambiare tutto
Roma. Il portale ufficiale della Conferenza episcopale tedesca qualche giorno fa dava grande risalto alle parole del vescovo di Essen, mons. Franz-Josef Overbeck: dopo il Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia (appuntamento in Vaticano il prossimo ottobre, dal 6 al 27) “niente sarà più come prima”. Il Sinodo “porterà a una rottura nella chiesa cattolica”. E pazienza se in teoria i padri convocati dal Papa a Roma dovrebbero discutere su come portare la parola di Dio e l’eucaristia ai cattolici che abitano la foresta, con i pochi preti costretti a percorrere – quando lo fanno – migliaia di chilometri spostandosi continuamente da un villaggio all’altro. Ma si sa, ormai i sinodi diventano una sorta di grande assemblea dove dibattere tutto quel che si può dibattere, con le conferenze episcopali (alcune, almeno) che non vedono l’ora di illustrare davanti al Papa, alla grancassa mediatica convenuta nell’Urbe per l’occasione, e agli altri confratelli vescovi i propri programmi che spesso si discostano dal tema centrale per cui quel sinodo è convocato. Lo chiarisce bene mons. Overbeck, secondo il quale più che la situazione dei cattolici che abitano le rive del Rio delle Amazzoni bisognerà focalizzarsi sulla “struttura gerarchica della chiesa”, “la sua moralità sessuale” e “l’immagine del sacerdozio”. Naturalmente non può mancare un’indagine attenta del “ruolo delle donne” che “deve essere riconsiderato”.
Il vescovo di Essen, mons. Overbeck: “Si discuta della struttura gerarchia della chiesa, della morale sessuale e del sacerdozio”
Puntuale come un orologio rotto che comunque batte due volte l’ora giusta, anche stavolta è la chiesa tedesca ad alzare la voce, puntando i piedi e annunciando con tanto di fanfare episcopali un’agenda da presentare all’attenzione del Sinodo. Nel 2015 fu il cardinale Reinhard Marx a fare sapere che “non siamo una filiale di Roma e non sarà un Sinodo a dirci cosa fare in Germania”, stavolta è un presule meno noto ma altrettanto combattivo e molto aperto allo Spirito del tempo. Niente di nuovo, è sempre stato così. Benedetto XVI l’ha ripetuto per l’ennesima volta tra le righe del suo documento pre-pasquale sulle derive assunte anche all’interno della chiesa a cavallo del 1968. Le stesse cose, benché edulcorate dalla necessaria diplomazia dovuta all’essere Pontefice, le aveva dette nel 2011 a Friburgo, arrivando a invocare una sorta di “demondanizzazione”. L’allora presidente della Conferenza episcopale, mons. Robert Zollitsch, si precipitò in conferenza stampa a spiegare che “il Papa, parlando di entweltlichung (questo il termine usato per tre volte dal Pontefice, ndr) non voleva riferirsi all’abolizione della tassa statale”. Una excusatio non petita che non convinse nessuno.
A marzo il cardinale Reinhard Marx ha annunciato l’apertura di “un percorso sinodale vincolante per la chiesa in Germania”
Chiese vuote ma casse piene, anche se non più come un tempo. Colpa dell’abbandono di fedeli, che preferiscono lasciare ufficialmente le confessioni cattolica e protestante pur di non pagare più l’esosa Kirchensteuer, la tassa che ogni battezzato è tenuto a versare. I numeri, di cui il Foglio ha dato conto la scorsa settimana, sono drammatici: tra quarant’anni i cattolici saranno 12 milioni (ora sono 23), la maggior parte dei quali “non praticante”. Qualche avvisaglia c’è già stata: enormi accorpamenti parrocchiali, dismissione di chiese e cappelle. E, soprattutto, una campagna di reclutamento che ammicca a chi in una chiesa non ha mai messo piede e che, incuriosito dalle novità o magari scambiando la chiesa stessa per una sorta d’una potente ong, potrebbe pensare di aderire, “iscrivendosi”. Lo stesso mons. Overbeck lo fa capire quando gli si chiede conto dei numeri a precipizio: la chiesa deve rispondere anche “all’immenso sfruttamento ambientale e alla violazione dei diritti umani”, e “al Sinodo sull’Amazzonia si parlerà di tutto”, probabilmente anche di viri probati, cioè di uomini sposati che potrebbero essere ordinati per supplire alla mancanza di clero, ha confermato il vescovo di Passau, mons. Oster, che pure è di orientamento opposto a quello di Overbeck. Per fortuna, ha aggiunto il vescovo di Essen, “Papa Francesco con la sua prospettiva sudamericana ha fatto sì che ci fosse consapevolezza di queste sfide”. Il primo punto del programma è smontare “la struttura eurocentrica della chiesa” e il modello è proprio l’America latina, dove “le chiese locali e il clero sono diventati via via sempre più indipendenti”. I cattolici calano non solo in Germania ma anche in Brasile, dove dal novanta per cento che erano sono scesi al settanta, ecco perché “la chiesa deve reagire a tutto questo e trovare risposte. La questione del celibato, insomma, potrebbe essere la prima di queste risposte. La chiesa potrebbe essere chiamata a “cercare uomini sposati adatti”, ha spiegato il vescovo di Aquisgrana, mons. Helmut Dieser.
La metafisica sostituita con un’etica del discorso alla Habermas; le prediche che sono “esercizi di paleomodernismo”
Intanto, in patria, la situazione è disastrosa. “La fiducia di molti cattolici nella loro chiesa è scossa in modo profondo, si stanno domandando come poter vivere la propria fede nella situazione attuale e condividerla con gli altri”, ha detto Thomas Sternberg, presidente del Comitato centrale dei cattolici tedeschi, l’organismo di coordinamento delle organizzazioni laiche ufficiali cattoliche locali. “Vivono nella sensazione di passare attraverso una valle oscura”, ha aggiunto interpellato al Catholic News Service. In Germania è cattolico il 30 per cento della popolazione, i praticanti sono molti di meno. Sì, quelli che in chiesa ci vanno credono in modo profondo, ha aggiunto Sternberg, aggiungendo però che gli “scandali” recenti, finanziario e relativo agli abusi su minori, hanno messo in crisi anche questa categoria di fedeli convinti. Da qui il pullulare di ricette, proposte, idee per uscire dalla crisi ed evitare – aspetto tutt’altro che secondario – che i forzieri riempiti dalla generosa Kirchensteuer si svuotino mandando in rovina intere diocesi. Il risultato è un trionfo di parresia: ogni vescovo è convinto d’avere la soluzione giusta e quindi parla, la espone. Spesso causando ancora più problemi di quelli che c’erano già. “Le affermazioni del vescovo Franz Overbeck non devono sorprendere. Egli, nato nel 1964 da una famiglia di contadini, appartiene a quella generazione di sacerdoti che hanno messo il proprio ministero al servizio di una nuova religione civile”, dice al Foglio Wolfgang Spindler, teologo domenicano cinquantenne che oltre a occuparsi di una parrocchia scrive sulle riviste Die Neue Ordnung e Tumult e per diletto anche libri per bambini, visto che loro “hanno un rapporto diretto con la trascendenza”. Una nuova religione civile “che non si basa più, come in Rousseau, sulla separazione tra stato e chiesa, tra politica e religione, ma mira piuttosto alla loro fusione e compenetrazione. Non è più la chiesa a essere l’unico veicolo della salvezza, bensì lo è lo ‘stare insieme’ di tutti nella società composta da individui e gruppi, indipendentemente da confessione e religione, ovvero il progetto postmoderno di una coesistenza pacifica, per la cui realizzazione (processo infinito!) si è costituita l’attuale alleanza di Trono (Merkel, Unione europea, organizzazioni non governative) e altare (la ‘chiesa sinodale delle Amazzoni’ […], le conferenze episcopali)”. La prima preoccupazione, nota Spindler, “ormai non è più rivolta ai fedeli cattolici. Il loro numero si è tanto ridotto nel corso di una generazione da farne un gruppo marginale, e i vescovi si sono votati a un compito più grande: dare vita al ‘vero’ universalismo, che si lascia alle spalle il ‘vecchio’ universalismo della chiesa cattolica e del diritto naturale. I presupposti di questa svolta, in Overbeck e nei suoi colleghi, sono evidenti: una fede del ‘come se’ (als-ob) e una teologia che ha sostituito la metafisica con un’etica del discorso alla Habermas. Le loro prediche sono esercizi di paleomodernismo, i seguaci del quale per definizione – come direbbe Péguy – ‘non credono in ciò che credono’. Hanno rinunciato a giustificarsi di fronte al passato, al depositum fidei. Non fanno più riferimento ormai nemmeno al Concilio Vaticano II, perché questo concilio, con le sue plumbee montagne di documenti, nel frattempo è diventato ‘poco flessibile’, ‘restaurativo’, se non addirittura ‘reazionario’. Il loro feticcio è l’incommensurabile Domani. Solo quando la chiesa cattolica si sarà liberata dalle pesanti catene del passato (la gerarchia, il sacerdozio, gli studi teologici, il celibato e così via), Satana sarà legato per mille anni e potrà avere inizio il regno della pace, della riconciliazione universale, della cosmopoli di Kant. Nella lotta verso questo fine – dice ancora il teologo domenicano – non si risparmiano alcuna fatica”.
Il crollo dei fedeli, l’imbarazzo per la tassa imposta ai battezzati, la deriva sociologica e relativista denunciata anche da tanti preti
Se il vescovo di Essen, come s’è visto, vaticina una rivoluzione totale, il collega di Magdeburgo, mons. Gerhard Feige, vuole l’ordinazione delle donne al sacerdozio. In mezzo, il cardinale Marx, che lo scorso marzo concludendo i lavori della plenaria dell’episcopato tedesco ha annunciato l’apertura di un “percorso sinodale vincolante per la chiesa in Germania” per discutere di morale sessuale, celibato sacerdotale e abuso di potere clericale. Ancora una volta si sente l’eco di quel non-sarà-Roma-a-dire-cosa-dobbiamo-fare-qui. Un’agenda, quella del presidente della conferenza episcopale tedesca, definita “certamente più sociologica che teologica” da padre Frank Unterhalt, portavoce di Communio veritatis, un gruppo di sacerdoti della diocesi di Paderborn che si sono costituiti in associazione il 22 febbraio del 2018, festa della cattedra di San Pietro. Preti che si ritrovano ogni mese per “pregare e preparare pubblicazioni teologiche in risposta alle questioni d’attualità. A giudizio di Unterhalt, il cardinale Marx “parla e si comporta come un politico di sinistra e non come un pastore della santa chiesa di Dio. Chiunque metta da parte la croce e desideri servire la dittatura del relativismo dovrebbe accettarne le conseguenze”. La diocesi di Paderborn ha da tempo fatto sapere che Communio veritatis è un gruppo privato non legato alla diocesi. Proprio l’arcivescovo di Monaco e Frisinga, tra una conferenza stampa e l’altra, ha partecipato al congresso annuale delle Caritas diocesane tedesche che come slogan aveva “Il sociale ha bisogno del digitale”. Una persona su cinque non ha accesso al digitale, osservava incredulo Marx, domandandosi “cosa si può fare per queste persone, come possano essere rese partecipi della vita sociale”, anche per raggiungere chi potrebbe essere tentato “dal suicidio”. Evidentemente il portavoce del cenacolo di sacerdoti di Paderborn aveva letto le dichiarazioni del porporato prima di parlare di deriva sociale della chiesa tedesca. Joseph Ratzinger disse nel 2001, durante un’omelia pronunciata a Fontgombault, in Francia – pubblicata sul Foglio dello scorso 4 maggio – che “dopo il Concilio si è diffusa l’idea che il contenuto del Vangelo sarebbe lo sviluppo sociale, che bisognerebbe fare soprattutto le cose esteriori, materiali, e che solo dopo forse si può avere ancora tempo per Dio. Ne vediamo le conseguenze: anche i missionari non avevano più il coraggio di annunziare il Vangelo. Pensavano che il loro compito ora fosse quello di contribuire allo sviluppo dei paesi sottosviluppati. Ci si è dimenticati di Dio, e la conseguenza è terribile: la distruzione dei fondamenti morali di queste società”. Ecco.
Editoriali
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