Dove nasce l'uso sovranista della religione
A furia di non dirsi cristiani, certi uomini di fede che si presumono modernisti hanno lasciato il sagrato e la piazza al comizio in forma di litania e al rosario come bandiera politica. Perché è stato un oltraggio tenere la chiesa lontana dallo spazio pubblico
Ci dicevano teo-con e atei devoti, buffe definizioni spregiative che assumevamo e rigettavamo sempre con cortese gentilezza e ironia, ma non avremmo mai sbandierato il rosario o altri simboli di devozione in favore dei nostri obiettivi, che erano laici al massimo grado: difendere il diritto a fare il commissario europeo per un cattolico processato e condannato come per stregoneria da una corte ideologica intollerante, far capire con la moratoria per l’aborto che la pena di morte è in pieno vigore nella religione universale dei diritti riproduttivi, onorare la memoria delle vittime del fondamentalismo islamista da Theo Van Gogh agli sterminati dell’Africa, del medio oriente, dell’Asia. Eravamo laici papisti, quando il Truce portava i calzoni corti nei centri sociali, perché il ciclo giovanpaolino cercava uno spazio pubblico utile al contraddittorio per la parola cristiana, ma non avremmo mai citato grossolanamente Wojtyla e Ratzinger in un comizio elettorale.
E’ di nuovo una nemesi. I cattolici democratici ci esorcizzavano e scomunicavano come una nuova Action française, e attribuivano oscure trame fra trono e altare alla ricercata “rilevanza” ruiniana di una fede capace di ragione, e ora si ritrovano sbertucciati sulla pubblica piazza, e fischiati, da presunti cristiani devoti, in realtà feticisti e ubriachi, che smerciano in politica le litanie dei santi sul palco patibolare di una strana internazionale nazionalista che porta la mozzetta del cardinale Burke. Gli offrivamo liberalmente la riflessione antiabortista di un Bobbio, di una Ginzburg, di un Pasolini, di uno Scruton, e l’hanno sprezzantemente rifiutata perché non entrava nel tornaconto progressista. Eccoli imprigionati nelle smanie e nei fischi degli odiatori evangelici, curiosa razza. Detto con Occam e il suo rasoio, ben gli sta. Eppure non è solo questione di nemesi, faziosità che si vendica della faziosità.
Non so che cosa volesse dire il numero due di Francesco quando ha affermato che impossessarsi di Dio per i propri scopi è “pericoloso”. Certo è pericoloso rinunciare, non dico alla religione civile, che è solo un aspetto e non dei peggiori della religione, ma anche solo a governare processi secolari in un ambito pluralista in cui a nessuno è concesso, nemmeno alla chiesa, ritirare la mano e lo sguardo, cultura e pastorale. Un arcivescovo di Milano ebbe a dire che “è meglio essere cristiani senza dirlo piuttosto che dirsi cristiani senza esserlo”, equivocando tutto in una formula integrista. Benedetto XVI gli rispose a Verona ringraziando chi agiva per allargare lo spazio della ragione affiancando lo slancio della fede. A furia di non dirsi cristiani, per sciocca paura delle contaminazioni che sono il sale del pluralismo, certi uomini di chiesa che si presumono modernisti hanno lasciato i sagrati e le piazze al comizio in forma di litania, e al rosario come bandiera politica. Hanno nascosto il rilevante messaggio di libertà e razionalismo che era nelle encicliche e nei pellegrinaggi di due grandi papi teologici e politici del Novecento, e hanno dovuto subire l’umiliazione dell’uso sovranista della religione, un fenomeno da avanspettacolo. Non è mai troppo tardi per indignarsi dell’oltraggio, come hanno fatto il gesuita Antonio Spadaro e Famiglia Cristiana, ma sarebbe meglio riflettere sul percorso di rinuncia allo spazio pubblico presto occupato da chi non aveva alcun titolo per farlo.
Vangelo a portata di mano