Chi comanda alla Cei?
Il Papa appoggia la linea Spadaro sul Sinodo per l’Italia, che per i vertici dei vescovi non era “all’ordine del giorno”
Roma. Il cardinale Gualtiero Bassetti, aprendo i lavori dei vescovi italiani riuniti a Roma per la consueta assemblea generale di maggio, ha parlato del “futuro dell’Unione europea” e non poteva esimersi dal deplorare lo sventolio di rosari in piazza e i fischi al Papa da parte di chi punta a fare della croce un vessillo da esibire alle urne per smontare l’Unione. “È vero che oggi l’Europa è sentita come distante e autoreferenziale, fino al punto da far parlare di una ‘decomposizione della famiglia comunitaria’ su cui soffiano populismi e sovranismi. Lasciatemi, però, dire che il problema non è innanzitutto l’Europa, bensì l’Italia, nella nostra fatica a vivere la nazione come comunità politica”, ha sottolineato Bassetti. “Oggi, noi italiani, cosa abbiamo ancora da offrire? Penso alle nostre virtù, prima fra tutte l’accoglienza; penso a una tradizione educativa straordinaria, a uno spirito di umanità che non ha eguali; penso alla densità storica, culturale e religiosa di cui siamo eredi. Attenzione, però: non si vive di ricordi, di richiami a tradizioni e simboli religiosi o di forme di comportamento esteriori”.
Il tema vero dell’assemblea è però quello gettato sul tavolo dal Papa lunedì pomeriggio: il Sinodo per l’Italia. Radunare laici, preti e vescovi in un processo che porti a un cambiamento, così come indicato al Convegno ecclesiale di Firenze del 2015. Un Sinodo per discutere di fede e politica ma che punterebbe a rovesciare definitivamente lo schema di Loreto 1985 che inaugurò la lunga stagione ruiniana. Ci vorrà tempo. L’elemento però rilevante è la modalità che ha portato all’annuncio dell’avvio del processo sinodale – Francesco è stato diplomatico, ha indicato un metodo ma ha anche fatto capire chiaramente che l’idea non gli dispiace troppo – che ha lasciato qualche vescovo perplesso.
Il fatto è che la proposta di indire un Sinodo per l’Italia l’ha lanciata padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, in un articolo dello scorso 2 febbraio. “Che dunque stia maturando il tempo per un sinodo della chiesa italiana?”, scriveva. Quel che serve è “contrastare le ‘tendenze alla regressione della storia’” e “fare la nostra parte per costruire il paese come ‘comunità di vita’, curando le ferite dei legami spezzati e della fiducia tradita. E questo potrà avvenire solamente grazie a un largo coinvolgimento del popolo di Dio, in un processo sinodale non ristretto né alle élite del pensiero cattolico né ai contesti di formazione”.
Che dunque stia maturando il tempo per un #Sinodo della Chiesa italiana?
— Antonio Spadaro (@antoniospadaro) May 20, 2019
Anche per discernere le forme dell’impegno democratico dei cristiani per essere – come chiedeva Francesco alla fine del suo discorso di Firenze – «costruttori dell’Italia» https://t.co/o0ZtdzrRQT
Subito l’appello era stato raccolto da alcuni vescovi, in testa quello di Palermo, mons. Corrado Lorefice, a giudizio del quale “è necessario che si mettano in atto tutte le forme e tutte le misure possibili per dare la parola alla chiesa, per far scegliere la chiesa, il popolo santo di Dio, fatto spesso da tante persone che non ne sanno nulla dei nostri dibattiti e delle nostre tensioni”. Pure il titolare di Modena, mons. Erio Castellucci, auspica un processo che porti a una chiesa “libera e aperta alle sfide del presente, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa”. Altri vescovi, tra cui mons. Domenico Pompili, si sono accodati.
C’è altro a cui pensare
Il problema è che i vertici della Conferenza episcopale italiani fin da subito sono apparsi freddi sull’ipotesi, con il presidente Bassetti che sull’Osservatore Romano, il 27 febbraio, diceva che “quella del Sinodo è una buona idea ma che va maturata nel tempo. In questo momento – aggiungeva – è fondamentale approfondire alcuni criteri di sinodalità e soprattutto prepararci all’Incontro di riflessione e di spiritualità per la pace nel Mediterraneo che si svolgerà a Bari nel febbraio del 2020”. Tradotto: abbiamo altro a cui pensare. Il segretario generale della Cei, mons. Stefano Russo, diceva che “è emersa la preoccupazione per il rischio di fermarsi sul piano delle intenzioni: anche la proposta avanzata da alcuni vescovi di un Sinodo della chiesa italiana è intesa essenzialmente come occasione per legare la riflessione alla concretezza, a partire da un’esperienza che aiuti innanzitutto i credenti a riconciliarsi, superando contrapposizioni sterili, e a ritrovarsi in una corresponsabilità ecclesiale e sociale”. Poi arriva maggio e il Papa ribalta tutto: “Sulla sinodalità, anche nel contesto di probabile Sinodo per la chiesa italiana, ho sentito un ‘rumore’ ultimamente su questo, è arrivato fino a Santa Marta!”. Chi detta allora la linea in casa Cei? Il presidente votato e nominato dal Papa o uno dei suoi consiglieri più fidati? Una domanda che non pochi presuli si fanno, considerato l’accento che Francesco pone più sui temi cari ad alcuni vescovi rispetto all’appuntamento cui Bassetti tiene così tanto da definirlo la priorità.
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