Il Vaticano istruisce i preti cinesi: ammiccate al regime ma siate fedeli al Papa
Il pragmatismo di Roma, il dialogo e la chiesa sotterranea
Roma. La situazione della chiesa cattolica in Cina è delicata, l’Accordo provvisorio dello scorso settembre (segreto) ha fatto sì partire un dialogo, ma moltissimo resta da fare. Lo certifica una Nota diffusa ieri dalla Santa Sede in merito agli orientamenti pastorali circa la registrazione del clero nel paese asiatico. La premessa è che in Cina vi è l’obbligo di presentare domanda di registrazione civile – altrimenti non si può agire a livello pastorale – e nonostante ciò non sono pochi i sacerdoti e vescovi che si rifiutano. Il motivo? La registrazione prevede che il sacerdote accetti il principio di indipendenza, autonomia e autoamministrazione della chiesa in Cina. Una sorta di dichiarazione di fedeltà ai fondamenti del regime, insomma. Il che è chiaramente inaccettabile per Roma. Si pone dunque il problema di indirizzare il clero locale: registrarsi o no? “La Santa Sede non intende forzare la coscienza di alcuno”, però – ed è un però che dice molto – “considera che l’esperienza della clandestinità non rientra nella normalità della vita della chiesa e che la storia ha mostrato che pastori e fedeli vi fanno ricorso soltanto nel sofferto desiderio di mantenere integra la propria fede”. Roma chiede allora che la registrazione avvenga “con la garanzia di rispettare la coscienza e le profonde convinzioni cattoliche delle persone coinvolte”, perché “solo così si possono favorire sia l’unità della chiesa sia il contributo dei cattolici al bene della società cinese”. Se ciò non dovesse accadere, o se il testo sottoposto al sacerdote fosse non conforme alla fede cattolica, “egli preciserà per iscritto all’atto della firma che lo fa senza venir meno alla dovuta fedeltà ai princìpi della dottrina cattolica” e “se non è possibile mettere questa precisazione per iscritto, il richiedente lo farà anche solo verbalmente”.
Ci sono due punti che rilevano. Intanto, la Santa Sede chiede che in una forma più o meno ufficiale il sacerdote che decide di registrarsi precisi di farlo affermando la propria fedeltà al Papa e alla chiesa di Roma (disposizione molto gesuitica, vengono alla mente i travestimenti di Matteo Ricci per conquistarsi la fiducia dei mandarini infedeli). In secondo luogo, ed è il sottotesto non meno importante, il Vaticano fa capire che l’interesse superiore è quello di continuare sulla strada del dialogo con Pechino. Costi quel che costi. Certo, “si comprende” e si “rispetta la scelta di chi, in coscienza, decide di non potersi registrare alle presenti condizioni”. Però “è legittimo aspettarsi un atteggiamento nuovo da parte di tutti, anche nell’affrontare le questioni pratiche riguardanti la vita della chiesa”. Di tutti: delle autorità cinesi – invitate magari a consentire la celebrazione in cattedrale di vescovi rei di non essersi piegati al regime (è il caso recente del vescovo dissidente Stefano Li Side, morto a 93 anni e sepolto ben lontano dalla sua diocesi) – e di quei battaglieri cattolici cinesi che non ci stanno a vedere di colpo spazzate le sofferenze loro e dei padri in nome della più pura ragion di stato. La piazza di Hong Kong, in queste settimane, ha fornito uno spaccato della tensione esistente: da una parte il volto duro del governo, dall’altra coloro che chiedono libertà, molti dei quali con croci e invocazioni a Gesù stampate sulle magliette. Questi ultimi hanno chiesto una benedizione al Papa, che non arriverà. Però, si legge nella Nota, “la Santa Sede chiede che non si pongano in atto pressioni intimidatorie nei confronti delle comunità cattoliche non ufficiali, come purtroppo è già avvenuto”.
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