I vescovi tedeschi alle prese con la lettera del Papa: “A chi ha dato ragione?”
Battaglia sull'interpretazione della nota di Francesco sul Sinodo
Roma. Il vaticanista americano John Allen ha scritto che se uno non avesse visto la firma in calce alla lunghissima lettera scritta dal Papa in spagnolo “al popolo di Dio che è in cammino in Germania”, avrebbe pensato che l’autore fosse Benedetto XVI o addirittura Pio IX. L’antefatto è rappresentato dall’annuncio roboante dato lo scorso marzo dal cardinale Reinhard Marx, che per far fronte alla continua emorragia di fedeli ha indetto un Sinodo “vincolante per la chiesa in Germania” che si ripromette di dare risposte definitive a tutte quelle questioni che lo Zeitgeist, lo spirito del tempo, vorrebbe vedere approfondite: celibato sacerdotale, insegnamento della chiesa in materia di morale sessuale, riduzione del potere ecclesiastico. E pazienza se in Vaticano qualcuno ha qualcosa da dire, dopotutto come affermò sempre Marx nei mesi del Sinodo sulla famiglia, “non sarà Roma a dirci quello che dobbiamo fare”.
Però, il 29 giugno scorso, a dire qualcosa ci ha pensato il Papa: incoraggiamento al cammino sinodale, ascolto di tutti, sostegno. Però – ed è un però che conta – Francesco ricorda che “gli interrogativi presenti, come pure le risposte che diamo, esigono, affinché ne possa derivare un sano aggiornamento, una lunga fermentazione della vita e la collaborazione di tutto un popolo per anni. Ciò porta a generare e mettere in atto processi che ci costruiscano come popolo di Dio, più che la ricerca di risultati immediati che generino conseguenze rapide e mediatiche, ma effimere per mancanza di maturazione o perché non rispondono alla vocazione alla quale siamo chiamati”.
Da qui, nota Bergoglio, “avvolti in serie e inevitabili analisi, si può cadere in sottili tentazioni alle quali ritengo necessario prestare attenzione e cura, poiché, lungi dall’aiutarci a camminare insieme, ci manterranno aggrappati e installati in ricorrenti schemi e meccanismi che finiranno col snaturare o limitare la nostra missione; e per di più con l’aggravante che se non ne saremo consapevoli, potremo finire col girare attorno a un complicato gioco di argomentazioni, disquisizioni e risoluzioni che non faranno altro che allontanarci dal contatto reale e quotidiano con il popolo fedele e il Signore”.
L’antifona suona chiara, ancora di più quando afferma che “lo scenario presente non ha il diritto di farci perdere di vista il fatto che la nostra missione non poggia su previsioni, calcoli o indagini ambientali incoraggianti o scoraggianti, né a livello ecclesiale né a livello politico o economico o sociale. E neanche sui risultati positivi dei nostri piani pastorali”. Sì, dice il Papa, “tutte queste cose è importante valorizzarle, ascoltarle, rifletterci sopra e prestare loro attenzione, ma di per sé non esauriscono il nostro essere credente” visto che “la nostra missione e ragion d’essere consiste nel fatto che Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. E senza vita nuova e autentico spirito evangelico, senza fedeltà della chiesa alla propria vocazione, qualsiasi nuova struttura si corrompe in poco tempo”. Non c’è bisogno di addentrarsi in troppe parafrasi, il contenuto è chiaro soprattutto se diretto a una chiesa che sui progetti, sui piani, sui numeri e sui sondaggi ha costruito parecchio della propria recente ragion d’essere. Il problema è che, essendo la materia delicata e divisiva, anziché riunire l'episcopato tedesco dietro il pastorale papale, si è ottenuto l’effetto contrario. A qualche giorno dalla pubblicazione della lettera, infatti, in Germania è in atto una gara all’interpretazione del testo: cosa avrà voluto dire Francesco? A chi si è rivolto? Ai pochissimi vescovi che hanno valutato negativamente il coup de théâtre di Marx o ai tanti progressisti che cavalcando l’occasione sinodale puntano a rivoltare la chiesa per adeguarla allo spirito del tempo? Le interpretazioni sono diverse, anche all’interno della locale compagine episcopale, tant’è che anziché acquietare gli animi, il risultato è stato quello opposto.
Il cardinale Rainer Maria Woelki, arcivescovo di Colonia, ha ad esempio subito sottolineato che il cammino sinodale così come delineato dalla Conferenza episcopale tedesca non ha senso. Più che a svecchiare e attualizzare, insomma, bisogna pensare alla “crisi della fede” e puntare tutto sul “primato dell’evangelizzazione”. Ancora più netto il suo vicario generale, mons. Michael Fuchs: “Al Papa non è sfuggito che alcune richieste dei promotori del cammino sinodale non hanno preso in considerazione il fatto che le basi della fede cattolica sono valide in tutto il mondo”. Di parere totalmente opposto è il commento del vicepresidente della Conferenza episcopale, mons. Franz-Josef Bode: “Innanzitutto, il Papa si è detto favorevole al cammino sinodale. E questo per me è un sollievo. Nulla viene smentito. Possiamo andare avanti e percorrere questa strada”. L’esegesi dei desiderata papali è, a quanto pare, appena iniziata.
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