Testimoni della persecuzione
Discriminazioni, attentati, conversioni forzate. I cristiani in Pakistan e i segni timidi di speranza. “Non saremo mai silenziosi né nascosti”, dice l’arcivescovo di Karachi
Pubblichiamo ampi stralci dell’intervento che il cardinale Joseph Coutts ha tenuto al convegno “Libertà religiosa negata. L’indifferenza della comunità internazionale” promosso lo scorso 4 aprile da Aiuto alla chiesa che soffre all’Università Cattolica di Milano. Il testo (in forma integrale) sarà pubblicato sul nuovo numero di Vita e Pensiero, in uscita giovedì 11 luglio.
In Pakistan, un grande paese con quasi 200 milioni di abitanti, i cristiani sono una piccolissima minoranza. Nella Repubblica islamica del Pakistan, il 95 per cento della popolazione è musulmana, i cristiani (cattolici e protestanti) sono solo 3 milioni, cioè il 2 per cento della popolazione, gli hindu e i fedeli di altre religioni il 3 per cento. In una tale situazione siamo chiamati a essere testimoni della nostra fede. Siamo una piccola minoranza, ma ciò non significa che noi cristiani siamo una minoranza nascosta, o una minoranza silenziosa. Come ha ricordato Francesco nel suo viaggio in Marocco, più del numero è importante la capacità di essere lievito nella massa. E attraverso le nostre chiese, scuole e istituzioni cristiane svolgiamo un’opera molto importante, riconosciuta anche da molti musulmani.
“Siamo una piccola minoranza, ma ciò non significa che noi cristiani siamo una minoranza nascosta, o silenziosa”
Secondo la nostra Costituzione la libertà di religione è riconosciuta, sebbene le alte cariche dello stato non siano accessibili alle minoranze religiose del Pakistan.
Ma negli ultimi anni vi sono stati molti cambiamenti nel mondo e nella nostra società e noi cristiani siamo chiamati a essere testimoni di una chiesa sofferente.
Le discriminazioni e i matrimoni forzati
Ma non è solamente la Legge sulla blasfemia a essere causa di sofferenze per noi. Ci sono sempre state discriminazioni contro i non musulmani, che non sono considerati cittadini al pari degli altri e devono subire vessazioni di vario tipo, specialmente quando si tratta di trovare lavoro oppure ottenere promozioni. Inoltre, nei libri di testo delle scuole i non musulmani vengono descritti in modo negativo. Nelle scuole statali, gli alunni non musulmani si trovano spesso a dover affrontare discriminazioni. E capita anche che agli studenti sia assegnato un tema dal titolo: “Invita un tuo amico non musulmano a convertirsi all’islam”.
Nella mente di ogni musulmano c’è l’idea dei dhimmi, il termine usato per definire i non musulmani che vivono in uno Stato islamico. Secondo questo concetto un dhimmi non è pari a un musulmano, sia politicamente che socialmente. Nel sistema islamico tradizionale un dhimmi deve pagare una tassa speciale allo stato e diventa una persona protetta dallo stato. Sebbene questo termine non venga utilizzato ufficialmente, l’idea rimane viva e influenza il modo in cui un musulmano guarda a un non musulmano. Noi, a ogni modo, affermiamo che nello stato moderno del Pakistan tutti i cittadini sono uguali, come era stato voluto dal nostro fondatore Muhammad Ali Jinnah.
Un altro problema che il governo non è in grado di prevenire è quello dei rapimenti e delle conversioni forzate all’islam di ragazze cristiane e indù, che sono poi obbligate a sposare i loro rapitori. Non vi sono dati ufficiali al riguardo, ma si ritiene che ogni anno tante ragazze vengono strappate alle loro famiglie e obbligate a convertirsi. In questi casi è molto difficile fare qualcosa contro gli aggressori che commettono questo crimine. Questo accade perché ai musulmani è permesso avere fino a quattro mogli e quindi, una volta rapita la povera ragazza, viene costretta a sposarlo. Quando la famiglia della giovane denuncia il rapimento alla polizia, la ragazza viene convocata davanti a un giudice. Ma il suo rapitore dichiara che ella si è convertita spontaneamente e la costringe, con la minaccia di far del male alla sua famiglia, a dichiarare al giudice di essersi convertita e sposata per sua volontà. Ci sono stati diversi casi nelle ultime settimane e per questo il 19 marzo scorso, proprio a Karachi, si è formato un comitato contro queste conversioni forzate, formato da cristiani, sikh e indù.
Dopo l’Afghanistan il pericolo estremista
Un altro importante fattore che ha contribuito a creare una società sempre più intollerante e prevenuta è la guerra in Afghanistan. Per combattere contro il comunismo dopo che l’esercito dell’Unione sovietica entrò in Afghanistan nel 1979, molti giovani musulmani furono addestrati per combattere un jihad o Guerra santa contro i kefir o infedeli che avevano occupato la loro terra. Questa politica fu sostenuta e finanziata dagli Stati Uniti e dal loro alleato, l’Arabia Saudita. Quando l’esercito sovietico fu infine sconfitto ed estromesso con l’aiuto americano, gli stessi combattenti si rivoltarono contro le forze Nato, considerate anch’esse infedeli. Poiché provengono principalmente dall’occidente esse vengono percepite come cristiani che attaccano un paese musulmano.
L’assoluzione stessa di Asia Bibi è la dimostrazione che qualcosa sta lentamente cambiando. Nonostante le proteste di piazza
Ciò ha dato origine a una nuova forma di islam che predica e promuove il jihad o Guerra santa contro i non musulmani. E’ un tipo di islam che noi non avevamo prima in Pakistan. E’ un prodotto dell’islam wahabita proveniente dall’Arabia Saudita e dall’Afghanistan, e che ha guadagnato forza in Pakistan. Questa forma estremista di islam non crede nella democrazia, che è vista come concetto occidentale. Sono estremisti che vogliono che il Pakistan diventi uno stato puramente islamico e non esitano a usare attentatori suicidi per attaccare ed uccidere. Questi gruppi, alcuni dei quali collegati ad al Qaeda, e ora anche all’Isis, sono diventati molto potenti e sono una minaccia per il governo e la democrazia in Pakistan. E in particolare per noi cristiani, perché ci considerano infedeli che condividono la stessa fede delle forze che occuparono l’Afghanistan.
Diversi imam nelle loro prediche sostengono che il tempo delle crociate non è ancora giunto al termine e che oggi l’occidente ha trovato soltanto un diverso modo di attaccare nazioni islamiche come l’Iraq o l’Afghanistan. Al tempo stesso accusano i paesi occidentali di sostenere i sionisti, colpevoli di opprimere i musulmani palestinesi.
E’ questa percezione negativa dei cristiani in Pakistan che ha innescato nel settembre 2013 l’attentato in una chiesa di Peshawar, in cui più di cento cristiani sono stati uccisi da due attentatori suicidi.
“Capita anche che agli studenti sia assegnato un tema dal titolo: ‘Invita un tuo amico non musulmano a convertirsi all’islam’”
Poi il 15 marzo 2015, abbiamo nuovamente vissuto questa drammatica esperienza. Due chiese del quartiere cristiano di Youhanabad a Lahore sono state attaccate durante la messa domenicale. Appena un anno dopo, sempre a Lahore, un altro attentato è stato commesso nel parco Gulshan-Iqbal proprio il giorno di Pasqua. Nei giorni di festa, in Pakistan, le famiglie cristiane usano trascorrere la giornata nei parchi. E quindi l’intenzione degli estremisti era di uccidere i cristiani, come era scritto in un messaggio dei talebani che hanno rivendicato l’attentato. Quel giorno sono morte ottantadue persone, cristiani ma anche musulmani, tra cui molti bambini. L’ultimo attentato contro una chiesa è stato commesso nel dicembre 2017 a Quetta. Purtroppo in questi anni diverse chiese sono state colpite e per questo la domenica e nei giorni festivi la polizia sorveglia i nostri luoghi di culto. Lo stato ci offre protezione, ma quello del terrorismo è per noi un pericolo costante e non sappiamo dove e quando i terroristi colpiranno ancora.
Segni di speranza per la pace e i diritti umani
Tutto questo dà un quadro negativo e tetro del Pakistan alla luce dell’aumento dell’intolleranza e della violenza. Ma non tutto è buio, e noi non viviamo senza speranza. Siamo una piccola minoranza, ma non siamo una chiesa nascosta o silenziosa. I musulmani di buona volontà, come la Hrcp (Human Rights Commission of Pakistan, ovvero Commissione pachistana per i diritti umani) e altri, si fanno avanti per sostenerci nelle difficoltà. Noi possiamo tuttora uscire nelle strade per protestare contro le ingiustizie e la violenza. L’assoluzione stessa di Asia Bibi, e il modo in cui il governo ha saputo gestire le numerose proteste che hanno seguito la decisione della Corte Suprema, sono fattori positivi. Io stesso posso testimoniare il grande affetto dimostratomi dopo la decisione di Papa Francesco di nominarmi cardinale. La mia nomina è stata accolta con gioia dall’intera comunità pachistana e tanti musulmani ne sono stati orgogliosi.
La nostra chiesa gestisce numerose scuole, ospedali e iniziative caritatevoli. E quindi noi lavoriamo per, e assieme, alle persone di tutte le fedi. Siamo una minoranza piccola ma attiva, che sta contribuendo allo sviluppo del Pakistan. E possiamo farlo anche grazie alle tante persone che in tutto il mondo ci sostengono in molti modi. Sia attraverso il supporto economico che attraverso la preghiera, che attraverso un’opera di advocacy, cioè esercitando pressione sul governo pachistano affinché protegga le minoranze religiose e si assicuri che vengano trattate in modo giusto e dignitoso come tutti gli altri cittadini.
L’autore è dal 2012 arcivescovo di Karachi per volontà di Benedetto XVI. Il 28 giugno 2018 è stato creato cardinale da Papa Francesco.
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