L'ostacolo è Papa Francesco
Sarà difficile che i cattolici possano agire in politica sotto un magistero che ha cancellato la parola interclassismo
Si riparla, a partire dallo scontro di valori tra bergogliani e trucisti, della possibile ricomparsa dei cattolici nella vita politica italiana. I cattolici nella politica italiana hanno avuto tutto sommato due volti, finché ci sono stati (e con notevoli risultati insieme di conservazione e di modernizzazione). Uno fu il volto “liberale” di Luigi Sturzo, che metteva in competizione nel suo popolarismo la dottrina sociale della chiesa con il socialismo. La dottrina sociale della chiesa è stata tante cose, ma una su tutte mi sembra l’abbia definita: la proprietà privata deve essere difesa perché dove questa non ci sia tutto è dello stato, con la fine delle articolazioni e dei corpi intermedi della società civile. L’altro volto, promosso in particolare da Giovanni Battista Montini, è l’interclassismo democristiano, l’ambizione per decenni riuscita di tenere insieme e mediare in un equilibrio sociale peculiare, popolo lavoratore, piccola borghesia, borghesia imprenditoriale privata e di stato. Sono semplificazioni con un linguaggio d’antan, i fattori storici d’accompagno del cattolicesimo politico in Italia sono molti e molto diversi, ma per l’essenziale ci intendiamo.
Ora, a tutti coloro che coltivano il progetto di rifare più o meno la Democrazia cristiana o il Partito popolare non populista, bisogna sinceramente fare gli auguri. Sarebbe utile e giusto che un soggetto cattolico facesse le sue prove nel groviglio di sbandate sperimentazioni del momento. C’è però un ostacolo, e non è la mancata autocritica invocata da Alberto Melloni per purgare le compromissioni dei cattolici con la “destra di potere”. L’ostacolo è Francesco in persona. La proprietà privata e ciò che ne discende è affare che non lo riguarda, se non in negativo, il Papa è molto al di là o al di qua della dottrina sociale della chiesa nel suo punto cardine. A questo pontificato piacciono idee di liberazione socialisteggianti, teorie ecologiche e soteriologiche vaghe ma ingombranti, e una cultura valoriale che fissa un solo dogma, questo sì, e l’unico, non negoziabile: l’accoglienza degli immigrati in un contesto multireligioso e multiculturale. Quanto all’interclassismo o al popolarismo liberale sturziano, nei discorsi e nei simboli e nelle opere emerge piuttosto in Francesco il populismo, la teologia del popolo, che è cosa diversa. Al Papa piace anche la relazione speciale con i forti poteri efficienti, come Putin o la Cina di Xi, nel quadro di una geopolitica vaticana che ha poco di occidentale (altro elemento che fu decisivo nella nascita di un partito democratico cristiano in Italia).
Nello scontro con il trucismo il bergoglismo, che sul piano umanitario è lodevolmente sensato, non morde, o la sua presa è debole, insufficiente, perché offre l’amore per l’altro come un dono di fede, che certo parla al cuore degli esseri umani e delle loro paure come ogni buona predicazione evangelica, ma non propone un riscatto ragionato dalla paura, un progetto di governo delle migrazioni, un’idea di mondo in cui i cattolici sappiano interpretare anche il ruolo di un’auctoritas temporale. Paolo VI, Giovanni Paolo II, Ratzinger e Ruini erano attenti a questo aspetto della questione, in modi diversi si prodigarono per la politica, che per Montini è “la più alta forma di carità”. Non così il loro successore, che ha più volte umiliato il concetto del politico apparentandolo alla corruzione e al traffico d’armi e allo scarto del disutile e alla maledizione ecologica. Auguri a chi cerca una via d’uscita anche politica per i cattolici, che sarebbero ancora una forza non irrilevante e con una solida tradizione alle spalle, ma sarà difficile che possano agire all’ombra o alla luce di questo magistero.