Il Papa ha perso la pazienza con Assad
Francesco scrive al rais: “Dimostri buona volontà e cerchi soluzioni alla crisi”
È di assoluto rilievo la lettera firmata dal Papa che il cardinale Peter Turkson ha consegnato ieri mattina al presidente siriano Bashar el Assad. Lo è perché se da un lato invita il rais “ad adoperarsi per cercare soluzioni praticabili ponendo fine a un conflitto che dura da troppo tempo e che ha provocato la perdita di un gran numero di fedeli”, dall’altro lo esorta a “mostrare buona volontà”. Le parole in diplomazia contano, soprattutto in quella felpata della Santa Sede, sempre attenta a calibrare i termini per non urtare l’equilibrio che tutto sovrintende. Francesco – ha detto il segretario di stato Parolin in un’intervista a Vatican News pubblicata poi sull’Osservatore Romano – è preoccupato per la situazione di emergenza umanitaria in Siria, in particolare nella provincia di Idlib, dove vivono 3 milioni di persone di cui 1,3 sfollati interni. Assad viene messo davanti alle proprie responsabilità, invitato dal Papa a “compiere gesti significativi”, tra i quali rientrano il rilascio dei detenuti e l’accesso per le famiglie alle informazioni sui loro cari.
È un’evoluzione significativa nella posizione vaticana: nel 2013 fu Bergoglio, con un appello all’Angelus e una successiva veglia di preghiera in piazza San Pietro, a fermare i caccia anglo-americani che già rullavano sulle portaerei di stanza nel Mediterraneo in attesa di bombardare Damasco. Una linea di opposizione netta all’attacco che aveva visto uniti il Papa e Vladimir Putin, quest’ultimo divenuto così una sorta di gran protettore dei cristiani nel vicino oriente, terrorizzati dall’eventualità che al despota Assad si sostituisse una catena di comando poco propensa a garantire una protezione delle minoranze religiose. Oggi si cambia: i negoziati abbozzati non hanno portato a nulla, la crisi umanitaria s’è fatta sempre più grave e le vie d’uscita alla guerra civile non s’intravedono neppure. Da qui l’azione della Santa Sede, che intende mettere pressione al capo dello stato siriano e riaccendere i riflettori della comunità internazionale sul disastro fin troppo tollerato.
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