Scacco matto alla chiesa
“Il Concilio Vaticano II ha accelerato l’inevitabile fuga dei cattolici”. Intervista a Bullivant di “Mass Exodus”
Nel fare santo Montini, si è voluto ‘canonizzare’ un testimone della Chiesa conciliare in simpatia con il mondo. Modello complicato per la pietà popolare, ma messaggio chiaro alla Chiesa del XXI secolo”, scriveva Andrea Riccardi sul Corriere della Sera di questa settimana. Il massimo studioso inglese di cattolicesimo, Stephen Bullivant, docente all’Università St Mary’s, questa settimana ha invece pubblicato una sorta di verdetto sulla chiesa conciliare.
Il Concilio Vaticano II rispose a problemi reali, a un bisogno di rievangelizzazione, ma la soluzione è stata catastrofica
“Sono trascorsi più di cinquant’anni dalla fine del Vaticano II”, spiega Bullivant nelle primissime pagine del suo Mass Exodus. “E secondo dati britannici recentemente pubblicati, quasi la metà di tutti i cattolici nati e cresciuti come tali non si considera più cattolica; la stragrande maggioranza di questi – quasi due cattolici britannici su cinque – affermano di non avere religione. Questi abbandoni del cattolicesimo superano i convertiti al cattolicesimo in un rapporto di dieci a uno. Inoltre, tra coloro che ancora si identificano come cattolici, un po’ meno di uno su tre frequenta la chiesa su base settimanale. Nel frattempo, negli Stati Uniti, rapporti molto pubblicizzati suggeriscono che due su cinque fra i cattolici nati e cresciuti come tali non si identificano più così”. Un altro sondaggio condotto da Bullivant tra i giovani fra i 16 e i 29 anni rivela che nel Regno Unito meno del 10 per cento di loro si classifica come cattolico. Già due anni fa, lo storico Guillaume Cuchet, professore di Storia contemporanea all’Università Paris-Est Créteil, aveva delineato i contorni di questo fenomeno in “Comment notre monde a cessé d’être chrétien, pubblicato da Seuil. Cuchet vi aveva spiegato, in una analisi culturale e sociologica, come la Francia stesse inevitabilmente convergendo verso la scristianizzazione già prima del Concilio, ma che questo, sconvolgendo prassi e dogma, abbia affondato il cristianesimo al suo cuore. Fu tra il 1965 e il 1966, infatti, che la pratica domenicale crollò per non riprendersi più. Adesso Bullivant, che da anni realizza i più approfonditi studi sulla scomparsa dei cattolici in Europa e dirige il Centro Benedetto XVI della sua università, compie lo stesso lavoro per il cattolicesimo anglosassone con Mass Exodus, uscito per le edizioni universitarie di Oxford.
L’11 ottobre 1962, Papa Giovanni XXIII aprì il Concilio Vaticano II. Il suo scopo dichiarato era di “riuscire a portare uomini, famiglie e nazioni all’apprezzamento dei valori soprannaturali”. Il Vaticano II durò fino al dicembre 1965, sopravvivendo al Papa che lo aveva iniziato per due anni e mezzo. Mezzo secolo dopo, il cattolicesimo è in uno stato “moribondo”, dice Bullivant. “Il cristianesimo come default, come norma, è sparito, e probabilmente se ne è andato per sempre, o almeno per i prossimi cento anni”. Cosa è andato storto, visto che il Concilio si poneva come obiettivo proprio il mondo dei laici cattolici? Secondo lo storico di Fordham Patrick Hornbeck, “la deconversione – il processo di passaggio dall’identificazione e l’impegno attivo con il cattolicesimo romano alla disaffiliazione e al disimpegno – è uno dei fenomeni più teologicamente significativi della vita cattolica americana contemporanea”. Lo stesso vale non solo per la Gran Bretagna, ma anche per un buon numero di altre nazioni e in diversi continenti, spiega Bullivant. “E’ la grande tragedia del Consiglio che, essendosi concentrato con così tanto tempo e attenzione sui laici sono proprio i laici che sono assenti in modo evidente dalle nostre chiese”. La tesi di Bullivant è che la chiesa ha chiaramente affrontato forti venti contrari dagli anni ’60 a seguito di forze sociali e culturali sempre più robuste, ma che ci ha anche messo del suo.
Il cattolicesimo come religione di default è morto in Europa. Vedremo minoranze agguerrite, effetto collaterale della secolarizzazione
La sua analisi ruota attorno a tre concetti chiave. Il primo è la “teoria dei social network”. Più densa è la rete sociale dei credenti e più sono collegati tra di loro, minore sarà il tasso di fuga e disaffezione. In parole povere, se tutti i tuoi vicini sono cattolici, sarà più facile rimanere cattolico. Il cattolicesimo non può sopravvivere in una società ipersecolarizzata. La seconda teoria è che quando un credente fa qualcosa che manifesta la propria fede in modo evidente, questo dimostra agli altri che la fede è reale. L’esempio più drammatico è il martirio. Terzo, gli scandali minano nel profondo. Gli anni post-Concilio hanno conciso con lo smantellamento di tanti segni esteriori del cattolicesimo, in quella che Paolo VI definirà “autodemolizione” della chiesa. E poi, a partire dagli anni ’80 ma aumentando di importanza nel tempo, sono arrivati gli scandali in serie. E la chiesa non si è più ripresa.
Bullivant continua sottolineando che molte delle cose ispirate dal Vaticano II, per quanto ben intenzionate, hanno contribuito alla distruzione della comunità cattolica come rete sociale. Parte di ciò che consente a una rete di funzionare è un senso di identità, stabilito da “marcatori”, come la tradizione di mangiare pesce il venerdì al digiuno in determinati periodi. Tutte queste cose furono minate, alcune sottilmente, altre violentemente, dal Concilio. Il Vaticano II nacque da un bisogno reale. Secondo Bullivant, i cattolici erano condannati comunque. L’unica domanda era il grado di disintegrazione che avrebbe avuto luogo. E il Vaticano II lo ha accelerato, anziché rallentarlo.
“Il Concilio di Nicea non pose fine alla controversia ariana. Il Consiglio di Firenze-Ferrara non riunì latini e greci. Il Concilio di Trento non realizzò, tra i suoi vari scopi, ‘l’estirpazione delle eresie’, ‘la pace e l’unione della chiesa’”. Così il Vaticano II ha fallito. “Gran parte di questo fallimento è stato involontario: la demografia, la ristrutturazione sociale e il cambiamento delle culture. Ma per portare la chiesa nel mondo, per infonderla con la luce di Cristo, i muri del ‘ghetto’ dovevano essere abbattuti. Per fare questo, la chiesa e le sue pratiche dovevano essere meno strane e culturalmente remote. I cattolici sono diventati come tutti gli altri proprio nello stesso momento in cui ‘tutti gli altri’ hanno iniziato rapidamente a diventare meno credenti, a identificarsi meno religiosamente”.
Da Roncalli a Montini, da Rahner a Ratzinger, negli anni prima del Concilio avevano parlato del ‘paganesimo’ dell’Europa
“La prima cosa da dire qui è che il Vaticano II era, in larga misura, destinato a rispondere a vari problemi pastorali riguardanti la caduta - specialmente tra i giovani e le classi lavoratrici e che erano stati evidenti da alcuni decenni”, dice Bullivant al Foglio. “Importanti figure cattoliche, molte delle quali hanno continuato a esercitare una grande influenza in seno al Concilio, si erano preoccupate della crescente secolarizzazione di gran parte dell’Europa. I vescovi francesi si riferivano sistematicamente a grandi aree del paese come a ‘territorio di missione’, tentando esperimenti piuttosto audaci, anche con la liturgia (messe vernacolari) e i cosiddetti ‘preti-lavoratori’ per provare a riconnettersi con le persone. E’ lo stesso periodo in cui l’arcivescovo Roncalli – il futuro Giovanni XXIII – era nunzio a Parigi. Rahner e Ratzinger descrivevano la Germania come paese ‘pagano’, in cui sempre più pochi cristiani vivevano ‘in diaspora’, a metà degli anni ’50. Come arcivescovo di Milano, Montini – in seguito papa Paolo VI – dedicò molte delle sue energie al raggiungimento dei ‘caduti’. In America e in Inghilterra, i tradizionali quartieri immigrati – i ‘ghetti’ cattolici – si stavano erodendo con il rinnovamento urbano e la suburbanizzazione. Nel libro sostengo che il Vaticano II è stato motivato da quella che ora chiamiamo ‘la nuova evangelizzazione’, o come ha detto Giovanni Paolo II nel 1990 la ‘ri-evangelizzazione’ dei paesi in cui una cultura cristiana consolidata sta mostrando segni di declino. Molte delle principali riforme del Concilio – in particolare quelle relative alla liturgia – sono esplicitamente giustificate su questa base. La necessità che la messa ‘sia pastoralmente efficace nella massima misura’ è una chiara ammissione che, in quel momento, chiaramente non si percepiva come tale. Il vero problema, tuttavia, è arrivato con la velocità e – francamente – il caos con cui le varie riforme sono effettivamente avvenute. Inoltre, la gamma di possibilità aperte dal Consiglio è stata molto presto spinta ai limiti (e spesso abbastanza ben oltre). In parte per disperazione, penso, sembravano disposti a provare qualsiasi cosa. Una specie di ‘ehi, a questi adolescenti piacciono i Beatles, ma a loro piace venire a messa… quindi se cantassero ‘Ehi, Jude a Messa?’. Trucchi, essenzialmente. E, naturalmente, i trucchi funzionano raramente – o se lo fanno, non funzionano mai a lungo”.
Possiamo includere il Vaticano II nel tormento culturale occidentale degli anni ’60. “Certamente. Il Consiglio stesso, che è durato solo poco più di tre anni, ha assistito a una serie di sconvolgimenti sociali, culturali e politici: tutto, dalla crisi dei missili cubani all’assassinio del presidente Kennedy, alla prima donna nello spazio a Bob Dylan. Un periodo di caos e sperimentazione nella chiesa – oltre a tutto il resto – che è stato, a posteriori, un idea catastrofica. Nel libro, traccio un’analogia con un il ‘sacrificio della regina’ negli scacchi, ovvero quello in cui un giocatore scuote completamente il campo da gioco rinunciando alla regina nella speranza di ottenere qualche vantaggio strategico a lungo termine. Quando funziona, con il senno di poi, è un colpo di genio incredibilmente audace… ma ovviamente, non sempre funziona”.
Il cattolicesimo come religione di default in Europa appare finito. E’ così? “Non in tutta Europa. In Gran Bretagna è sicuramente vero. Ora l’impostazione predefinita è ‘non ho una religione’: circa la metà di tutti gli adulti britannici e qualcosa come il 70 per cento degli under 30 si identifica in questo modo”. Alcuni paesi europei sono “persi” alla secolarizzazione radicale. “Se con radicale intendiamo una chiara opposizione a qualsiasi intreccio tra chiesa e stato, un’antipatia per qualsiasi espressione pubblica di religiosità, una intolleranza alle opinioni tradizionali su matrimonio, sessualità, problemi di vita, questa sembra abbastanza prominente in alcuni paesi, almeno tra le élite. Molti dei paesi scandinavi, così come i paesi postcomunisti come l’Estonia e la Repubblica Ceca, tra gli altri, sono più secolarizzati rispetto alla Gran Bretagna. ‘Perso’ è un termine forte. Agli scienziati sociali piace dire ‘se le tendenze attuali continuano…’. Ma, naturalmente, le tendenze attuali raramente continuano per sempre. Non prevedo grandi cambiamenti nella laicità europea nel prossimo futuro, e in effetti ne prevedo un aumento significativo (stiamo già vedendo segnali in paesi relativamente molto religiosi come l’Irlanda e la Polonia). Ma vedremo anche – e in effetti lo stiamo già vedendo, anche tra i giovani – è che le poche persone seriamente religiose tenderanno a essere piuttosto impegnate e motivate. Quindi è probabile che vedremo sacche di cristiani abbastanza forti, seppure in termini assoluti di dimensioni ridotte, sostenute come una sorta di effetto collaterale della secolarizzazione diffusa”.
Il Concilio è come il sacrificio della regina degli scacchi: vi rinuncio per ottenere qualcosa in cambio. Ma il trucco non ha funzionato
E qual è l’esito di questa? Qui bisogna tornare al Concilio. Il teologo domenicano olandese Edward Schillebeeckx negli anni del Vaticano II divenne una star globale, il campione della “nuova teologia” al passo con la cultura dominante. Schillebeeckx era il collaboratore del cardinale Bernard Jan Alfrink, arcivescovo di Utrecht, uno dei padri del Concilio e che diede un grande contributo alla stesura del documento più ricco di tensione verso il mondo moderno, la “Gaudium et Spes”. Alfrink fu poi protagonista di uno scontro con Alfredo Ottaviani, capo del Sant’Uffizio. La crisi si espanderà “un po’ dovunque”, disse Alfrink, a voler un Concilio ancora più aperto al mondo, come la fine del celibato. E il cattolicesimo olandese fece di testa sua per essere al passo coi tempi. E ne è stato mangiato.
Ha appena rivelato il quotidiano Trouw che “una chiesa su cinque nel nostro paese non è più utilizzata come tale”. Delle quasi 6.900 chiese nei Paesi Bassi, circa 1.400 hanno già ricevuto una nuova destinazione. Cio-K, l’organizzazione che dialoga con il governo per conto delle chiese nei Paesi Bassi, ha invece stimato che dal 30 all’80 percento di tutte le attuali chiese perderà la propria funzione religiosa. “Convertite in case residenziali o in un complesso di appartamenti o utilizzate come locali commerciali. E come risultato della secolarizzazione e dell’invecchiamento, centinaia o addirittura migliaia di edifici di chiese diventeranno vacanti nei prossimi anni, si aspettano gli esperti”.
Il cardinale Wim Eijk, attuale successore di Alfrink a Utrecht, di recente ha previsto che tra dieci anni nella sua arcidiocesi saranno ancora in uso al massimo quindici delle attuali 280 chiese. Quando si dice che la cura ha ucciso il paziente.
Vangelo a portata di mano