Governo Spadaro
Dalla Cei (divisa come non mai) neanche una parola sulla crisi. A battagliare contro il populismo ci vanno i gesuiti della Civiltà Cattolica. Con un progetto ben chiaro
Roma. E’ rumoroso come non mai il silenzio dei vertici della chiesa italiana nei giorni della crisi e dell’implosione del governo gialloverde dopo appena un anno di vita. Matteo Salvini con crocifisso ben visibile chiede pieni poteri al popolo sovrano, brandendo il rosario, ringraziando la Beata Vergine Maria – ieri l’appello è stato al suo Cuore Immacolato – e appellandosi da un lato al buon Dio e dall’altro al fluido elettorato cattolico che nella sua maggioranza (netta) non ha certo disdegnato di infilare nell’urna la scheda con barrato il simbolo leghista. I vescovi tacciono, ennesimo segno di un disorientamento che appare ormai acclarato. I critici laici più feroci del ruinismo, quelli che accusavano di “collateralismo” con Berlusconi una Cei attivissima sulla scena politica, sono paradossalmente oggi schierati in prima fila nell’opporsi al muso duro salviniano. Richiamando i cattolici a pensare bene con chi stare, ché la via del Vangelo non è compatibile con quella del “tener-duro” perorata dal ministro dell’Interno.
Lodando i (pochi) presuli che coraggiosi denunciano il dramma dei migranti lasciati in mezzo al mare in pieno agosto e sottolineando l’orrore per i preti che in cotta e stola si scagliano contro le ong che portano al di qua del Mediterraneo uomini e donne con “gioielli e cellulari”. Dalla Cei, silenzio. Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente, la prende alla larga, evitando accuratamente di entrare con entrambi i piedi nella mischia e preferendo la sicura strada delle citazioni bibliche – “La primavera italiana? Siamo ancora un po’ nella notte. Siamo al cambio della sentinella di Isaia. Notte, freddo, cambia la sentinella. Quella che arriva domanda alla sentinella, quanto manca all’alba? E la sentinella risponde, l’alba viene, la primavera viene”, ha detto al Meeting di Rimini lunedì.
Così, nell’assenza di linea e di una posizione, il vuoto è stato occupato dalla Civiltà Cattolica, la rivista dei gesuiti che va in stampa con l’imprimatur vaticano, e in particolare dal suo direttore, Antonio Spadaro. Giorni fa, prima di ferragosto, quest’ultimo aveva già sgombrato il campo dai dubbi su quale fosse la bussola necessaria per orientarsi nel caos: “Questo è tempo di resistenza umana civile e religiosa”. Ancora più netto il predecessore di Spadaro, Bartolomeo Sorge, che se il 27 maggio twittava “l’Italia è leghista, non più cristiana”, qualche giorno fa si faceva più esplicito: “La mafia e Salvini comandano entrambi con la paura e l’odio, fingendosi religiosi. Si vincono, resistendo alla paura, all’odio e svelandone la falsa pietà”. Per entrambi, immediata è scattata l’attesa fucilazione social. Nei giorni della caduta grilloleghista, anche se – spiegava Spadaro – “far teatro con boutade e provocazioni non è sufficiente per avviare seriamente una crisi, neanche di governo” – il direttore della Civiltà Cattolica rimandava sibillino a un suo editoriale pubblicato all’inizio dell’anno che in qualche modo certifica lo stallo in cui pare imballata la chiesa italiana, o quantomeno i suoi vertici, delineando anche la via d’uscita dall’angolino nel quale è finita. L’editoriale è quello in cui si lanciava l’idea di un Sinodo per l’Italia, operazione benedetta da diversi vescovi (Lorefice, Castellucci, Pompili, per citarne alcuni) e citata anche dal Papa in apertura di Assemblea generale lo scorso maggio. Ma vista con qualche perplessità – quantomeno rispetto alle tempistiche – dalla presidenza della Cei e da una sostanziosa parte dei presuli. Scriveva Spadaro allora che “la forza propulsiva del cattolicesimo democratico ha bisogno di essere resistente in questi tempi confusi, ma anche di ascoltare e capire meglio, perfino coloro che oggi sono riusciti a intercettare umori e idee della gente”. “La chiesa italiana – si domandava poi – saprà farsi interpellare dal mutamento in corso senza limitarsi ad attendere tempi migliori? E come? Abbiamo compreso che è impossibile pensare il futuro dell’Italia senza una partecipazione attiva di tutti i cittadini”.
Il Sinodo è auspicato da tanti e, al contempo, temuto da altri per lo stesso motivo: significherebbe cambiare radicalmente l’orientamento ecclesiale seguito – più o meno costantemente – nell’ultimo trentennio inaugurato con la “svolta” di Loreto del 1985 che diede il là al regno di Ruini il cui progetto si direbbe naufragato per implosione traumatica dei pilastri sui quali s’ergeva. Padre Spadaro lo faceva capire, quando osservava che “innanzitutto dobbiamo capire che cosa ci è accaduto. Dopo anni in cui forse abbiamo dato per scontato il rapporto tra chiesa e popolo, e abbiamo immaginato che il Vangelo fosse penetrato nella gente d’Italia, constatiamo invece che il messaggio di Cristo resta, talvolta almeno, ancora uno scandalo. Sentimenti di paura, diffidenza e persino odio – del tutto alieni dalla coscienza cristiana – hanno preso forma tra la nostra gente e si sono espressi nei social network, oltre che nel broadcasting personale di questo o di quel leader politico, finendo per inquinare il senso estetico ed etico del nostro popolo. Il fenomeno – sia chiaro – non riguarda solamente la nostra Italia. A questo si aggiunga il fatto che il potere politico oggi ha anche ambizioni ‘teologiche’. Pure il crocifisso è usato come segno dal valore politico, ma in maniera inversa rispetto a quello che eravamo abituati: se prima si dava a Dio quel che invece sarebbe stato bene restasse nelle mani di Cesare, adesso è Cesare a impugnare e brandire quello che è di Dio, a volte pure con la complicità dei chierici”.
A delineare pragmaticamente la strada – e non da ieri – ci aveva pensato un altro gesuita, padre Francesco Occhetta, anche lui scrittore della Civiltà Cattolica: “L’interesse del paese è superiore a quello delle singole forze politiche. Più urgenti delle elezioni sono la legge di bilancio che chiederà sacrifici per compensare le spese fatte, la riforma della riduzione dei parlamentari da tutti invocata e una legge elettorale proporzionale per non ripetere gli errori del passato. Il mondo cattolico è chiamato non a scontrarsi senza proposte ma a contribuire con l’arte della mediazione del possibile e la difesa dei più deboli a sostenere questo difficile momento del paese”. Un programma chiaro. Resta da vedere quanto chiare siano le idee presso il “mondo cattolico”.
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