Tutti al centro, forse, ma quale? Oggi lo smarrimento politico dei cattolici è per prima cosa filosofico. Tornare ai principi non flessibili: né a destra né a sinistra. Secondo Del Noce
Nonostante quello che sembra essere un dato di fatto ormai assodato, ossia la polarizzazione dell’elettorato cattolico tra una destra salviniana e un fronte anti-salviniano (polarizzazione che al momento vede prevalere i primi sui secondi, mentre a livello di episcopati apparentemente le proporzioni parrebbero invertite, ma il condizionale è d’obbligo), non va dimenticato che storicamente l’alveo per così dire naturale del cattolicesimo politico italiano è sempre stato il centro.
Con una certa propensione verso la sinistra, che a partire dagli anni 70 sfociò nella devastante stagione del catto-comunismo; ma muovendo sempre da una prospettiva moderata. La succitata polarizzazione è da ritenersi dunque un’eccezione, la regola essendo, appunto, la collocazione dell’elettorato cattolico nell’area di centro. Ma se così stanno le cose, viene spontaneo chiedersi come mai i cattolici, laici e non, non sentano l’esigenza di adoperarsi in vista di un nuovo soggetto politico centrista, in grado di saper intercettare e, soprattutto, saper tradurre in azioni concrete non tanto e non solo ciò che l’elettorato cattolico percepisce come una priorità, ma primariamente ciò che la dottrina sociale della chiesa indica come i principi cardine di ogni agire cattolico nella società, principi che in quanto tali non sono né nella disponibilità del politico di turno né tanto meno da ritenersi mutevoli o “flessibili” a seconda dei differenti contesti storici (diverso è il discorso della loro applicazione concreta, che invece non può prescindere dalle sfide che la realtà pone). Tali principi, vale la pena ricordarli, riguardano essenzialmente: a) la promozione e la tutela della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, b) il rispetto della vita umana dalla nascita alla morte naturale, c) la libertà di educazione.
Tutto il resto viene dopo, in alcuni casi molto dopo (con buona pace di quegli ambienti sedicenti cattolici che sembrano essere più sensibili a questioni che poco o nulla hanno a che fare con la presenza del laicato cattolico nella società e più in generale della chiesa nel mondo). Ne consegue che agli occhi dell’elettore cattolico la bontà dell’azione politica – prescindendo ovviamente tanto dal credo personale, religioso o di altra natura, quanto dalla statura morale del singolo in termini di coerenza (molto meglio fare “cose cattoliche” senza dirsi cattolici, e al limite senza neanche esserlo, che dirsi cattolici e non sono non fare nulla ma, quel che è peggio, permettere leggi e provvedimenti in aperto contrasto con l’antropologia cattolica) – si misura con il grado di coerenza, questa sì, tra proclami ed enunciati che si rifanno a quei principi, e le azioni messe in campo (o non messe in campo).
Come mai i cattolici, laici e non, non sentono l’esigenza di adoperarsi in vista di un nuovo soggetto politico centrista?
Da questo punto di vista – come ha ben rilevato Alfredo Mantovano su queste colonne e nonostante qualche lodevole eccezione (ad esempio l’abolizione dell’orrenda dicitura genitore 1 e genitore 2 cara all’ideologia gender a favore del ripristino di quella naturale di papà e mamma) – l’elettorato cattolico ha ragioni da vendere nel criticare l’operato del governo uscente (in ogni caso di gran lunga migliore di quello precedente). Allo stesso modo tuttavia, non si può non sottolineare l’assordante silenzio di chi, in ambito ecclesiale, avrebbe potuto e dovuto criticare il governo per gli stessi motivi quando invece, nota ancora Mantovano, le critiche sono state minime, e con uno spazio “del tutto incomparabile alla questione immigrazione, che ha polarizzato, al di là dei simboli, la critica al governo, e in particolare al vice premier Salvini, peraltro aspra, spesso emozionale, senza quelle distinzioni che fanno cogliere la complessità dei fenomeni, e per questo alla fine non incisiva”. Un fenomeno, questo descritto da Mantovano, che unitamente a quella che secondo diversi osservatori sembrerebbe emergere come una preferenza, seppur come male minore, dell’episcopato italiano per un governo M5s-Pd rispetto a quello giallo-verde, la dice lunga sulla stato confusionale in cui versa il cattolicesimo italiano (e non solo), nella misura in cui a fronte di un più che probabile cambio di rotta in tema di politiche sui migranti si avrebbe un altrettanto più che probabile inasprimento di politiche di stampo laicista sulle questioni più importanti della dottrina sociale. Il che sarebbe tutto dire. Per evitare tanto il rischio di una strumentalizzazione del sentimento religioso quanto la miopia di chi giudica l’azione di governo sulla base di principi che non rappresentano il proprium della dottrina sociale della chiesa, oggi più che mai urge mettere a tema la rielaborazione di una proposta compiutamente cattolica che sappia prendere corpo e tradursi in un progetto politico. Il che ci riporta dritti alla domanda da cui siamo partiti. Domanda che, vista da un’altra prospettiva, pone il tema dell’irrilevanza di fatto dei cattolici e di cosa/come fare per uscirne. Ed è a partire da tale questione che risultano essere di straordinaria attualità il pensiero e l’opera di Augusto Del Noce, trai i massimi filosofi italiani del ’900, di cui quest’anno cade il trentesimo anniversario della scomparsa.
La dottrina sociale della chiesa indica i principi cardine, che in quanto tali non sono nella disponibilità del politico di turno
Chi scrive ha di recente dedicato al pensatore torinese uno studio (“Filosofia cristiana e politica in Augusto Del Noce”, Pagine editore, sul Foglio recensito da Davide D’Alessandro), che ha in appendice un breve ma denso saggio dello stesso Del Noce che sembra scritto ieri anziché nel 1945. Il saggio, intitolato “Analisi del linguaggio”, e la cui idea portante è il concetto di “fedeltà creatrice” caro al filosofo cattolico, si apre con questa domanda: “La posizione politica del cristiano dovrà essere conservatrice o rivoluzionaria?” Come si vede una domanda - al netto delle ovvie differenze di contesto storico - estremamente attuale. Ed ecco la risposta di Del Noce: “L’ideale della politica cristiana deve, a mio credere, prospettarsi come un’eterna (nel senso di mai esaurita; il cristiano è sempre in lotta)
restaurazione dei principi (da non confondere con la “restaurazione dei fatti” propria della reazione)
nel loro carattere eterno; come dissociazione dei principi eterni dalla loro realizzazione storica, sempre relativa ad una problematica storica data e in ciò inadeguata; e cioè come affermazione della
trascendenza dei principi, della loro eternità per cui non si esauriscono in situazioni storiche, ma contengono un’indefinita virtuale possibilità di “nuovo”. La fedeltà del cristiano assume così un significato nuovo; non più fedeltà a fatti e a istituti storici, dunque spirito di passività e negazione critica; ma fedeltà a soprastorici principi, e perciò
fedeltà creatrice, creatrice di soluzioni nuove alla problematica sempre nuova che l’esperienza storica offre”. Ma come si traduce, in concreto, tale posizione? “Se destra – prosegue Del Noce – vuol dire “conservare” e sinistra “innovare”, la posizione della fedeltà creatrice definisce una politica di centro”. Centro che tuttavia nell’ottica delnociana non ha nulla a che vedere con la politica del compromesso, ossia con una “politica flaccida priva di ideale” (Del Noce definisce con un’immagine di insuperata efficacia tale accezione di centro parlando di un “incontro del destro prudente o esperto e del sinistro fiacco. “Centro destro” e “centro sinistro” ma appunto perciò non “centro””). Per il filosofo torinese il termine “centro” va inteso in rapporto alla “restaurazione dei principi”, e in tale accezione non significa più, come in passato con le politiche del compromesso, “dissociazione di teoria e di pratica, ma mediazione della rivoluzione, risoluzione dell’ideologia rivoluzionaria nelle effettive e valide esigenze che muovono, esse sole in sostanza, le anime a aderirvi; apertura al nuovo sull’orizzonte dell’eternità dei principi”.
Se destra, spiega Del Noce, vuol dire conservare e sinistra innovare, la posizione della fedeltà creatrice definisce una politica di centro
Contrariamente a quanti lo marchiarono con lo stigma del reazionario (dando ovviamente per scontata, cosa che scontata non è affatto, la bontà dell’azione che innescherebbe la reazione, vista sempre come negativa) Del Noce, già nel 1945, e su tale posizione resterà fino alla fine, metteva una distanza siderale tra sé e ogni prospettiva tanto rivoluzionaria quanto, appunto, reazionaria. Contro la Rivoluzione che pone al centro l’idea di avvenire e la Restaurazione centrata all’opposto sul passato,
Del Noce evocava la necessità di un Risorgimento, di un risorgimento cattolico, la cui cifra è da rinvenire nella categoria di “eterno”. Risorgimento da intendersi quindi sia come categoria storica ma più ancora come categoria filosofica, secondo quell’idea di “restaurazione creatrice” cara a Gioberti che, insieme a Rosmini, sarà per Del Noce un punto di riferimento nell’elaborazione della sua proposta filosofica. L’atteggiamento da assumere, ieri nei confronti del marxismo oggi di fronte al laicismo individualista e nichilista, è quello della “risposta a sfida”, ossia vivere e approfondire con rigore la propria posizione di pensiero chiedendo all’avversario di fare altrettanto: sarà poi la storia a decretare il vincitore tra i due contendenti, nel momento in cui una delle due opzioni si rivelasse contraddittoria con le proprie finalità. “Risposta a sfida” che nella sua accezione positiva si può riassumere nell’impegno culturale, quindi politico per la “restaurazione dei valori”, fermo restando che la riaffermazione dei valori tradizionali non significa affatto restaurazione della vecchia alleanza Trono-Altare quanto piuttosto il recupero del cattolicesimo
dentro e
non contro la modernità. Nei confronti della società contemporanea ciò significa dissociazione del liberalismo dal libertinismo nella sua versione moderna, in vista di un progetto politico autenticamente democratico e liberale, e perciò stesso antitotalitario (Del Noce fu tra i primi a teorizzare, in perfetta sintonia con l’allora pontefice S. Giovanni Paolo II, la possibile involuzione totalitaria dei regimi democratici a motivo del relativismo etico, di cui il “politicamente corretto” oggi imperante è un chiaro sintomo), i cui pilastri per Del Noce erano/sono il rispetto della persona umana e della sua libertà, il rifiuto della violenza e il metodo della persuasione.
La proposta di Del Noce è una “metafisica civile”, riaffermazione del pensiero tradizionale in grado di tradursi in una “polis” dell’uomo
A differenza di Maritain, Del Noce non considerava la democrazia di origine evangelica, ma un fatto storico e contingente; ciò nondimeno esistono dei valori che pur essendo immutabili quanto all’origine e al contenuto, hanno tuttavia “bisogno” di incarnarsi nelle diverse epoche storiche. Il rispetto della persona umana e della sua libertà, il rifiuto della violenza e il metodo della persuasione sono pertanto le condizioni che, se da un lato non rendono certo cristiana una democrazia (come d’altra parte ritiene lo stesso Del Noce), dall’altro sono in grado di garantire quello spazio necessario perché l’individuo possa liberamente aprirsi alla verità e ai valori che da questa discendono. E’ questa, in estrema sintesi, la cifra del “liberalismo cattolico” di Augusto Del Noce, a patto di non assumere tale espressione come sinonimo di “cattolicesimo liberale”, né di intenderla come il progetto di chi voglia contemperare due realtà affatto diverse e distanti tra loro.
Sulla stessa lunghezza d’onda di Rosmini, si tratta piuttosto di riconoscere che è il cattolicesimo stesso a portare con sé caratteri fondamentalmente liberali. Il filosofo cattolico ebbe chiaro fin dall’inizio, come dato certo e indiscutibile, l’essenziale storicità della Rivelazione cristiana: il cristianesimo è un evento storico, non un’ideologia o un sistema di pensiero, né tanto meno un affare di coscienza. Ed è proprio nella riduzione del fatto religioso a foro interno che egli vedeva il segno del cedimento di tanta parte della cultura cattolica a quell’idea di modernità che storicamente ha prevalso sviluppatasi lungo l’asse Cartesio-Nietzsche. Con la duplice conseguenza della protestantizzazione di fatto del cattolicesimo, da un lato, e della ricerca di chiavi interpretative della storia contemporanea “altre” rispetto a quella cattolica, per poter essere ammessi nel consesso dei moderni muovendo da un ingiustificato complesso d’inferiorità. Ma se all’opposto si tiene ben presente la storicità del cristianesimo, ne consegue che questo non può non avere anche una traduzione politica, nel senso cioè di farsi “polis”, mondo, storia. In questo senso la proposta di Del Noce è una “metafisica civile”: cioè una filosofia cristiana che implica e richiede un nesso indissolubile tra pensiero ed esperienza, interiorità ed esteriorità, onde una “propria e personale” riaffermazione del pensiero tradizionale in grado di tradursi, per sua natura, in una “polis” realmente degna dell’uomo. Al di là e prima di ogni programma politico e di quale organizzazione darsi, questa era, ed è, la sfida da assumere per i cattolici.