Una basilica nel sud della Francia (foto di Dennis Jarvis via Flickr)

“La crisi dell'Europa figlia del caos da scristianizzazione”. Parla Olivier Roy

Giulio Meotti

“Non è solo la fede, è la cultura cristiana che sta svanendo”

Roma. “La secolarizzazione ha lasciato il posto a una profonda scristianizzazione, dal 1968 l’Europa ha subìto un grande cambiamento antropologico”. Olivier Roy nel suo ultimo libro si è avventurato in una terra incognita, dopo anni di libri di successo sull’islam. La terra è quella desolata dell’Europa post cristiana. “La ‘scristianizzazione’ è antica in Francia, recente in Irlanda e appena iniziata in Polonia, dove la partecipazione alla messa rimane forte ma c’è un calo nei seminari”. Così parla al Foglio Roy, politologo di fama e autore del libro “L’Europa è ancora cristiana?” (Feltrinelli). Roy ne discute oggi al Festival della rivista Internazionale a Ferrara, dove sarà fra gli ospiti di punta.

 

Un mese fa, il quotidiano La Libre ha dedicato un’inchiesta al cattolicesimo belga arrivato al capolinea: appena cinque sacerdoti ordinati in un anno, il venti per cento delle chiese di Bruxelles che andrebbero chiuse, regioni dove la frequenza domenicale è sotto all’un per cento. Ieri, lo Spiegel ha pubblicato un reportage sui “monasteri che stanno scomparendo in Germania”: “Nel 1960, c’erano ancora 110 mila monache e monaci in Germania. Venti anni fa erano 38.348. Oggi sono 17.900. ‘Abbiamo ancora trent’anni, poi è finita’, dicono. La società tedesca si sta allontanando dalla religione e soprattutto dalla chiesa. Questo sviluppo è particolarmente sentito tra gli ordini religiosi. Stanno morendo. Ovunque, monasteri e conventi stanno scomparendo”. “Quale missione per i cattolici in una Francia scristianizzata?”, si è domandato il Figaro del 27 settembre.

 

Non passa settimana che non escano articoli di questo tenore. “Ovunque, tranne che in Polonia e Irlanda, la percentuale di coloro che vanno regolarmente a messa è sotto al dieci per cento della popolazione totale e la cifra è ancora più bassa fra i giovani”, prosegue Olivier Roy al Foglio. “Non stiamo assistendo all’ascesa dell’anticlericalismo, come nel XIX secolo, ma dell’ignoranza religiosa. Le persone hanno perso familiarità con la chiesa. La pratica religiosa appare oggi come qualcosa di strano, persino fanatico. Non è solo la pratica religiosa che sta diminuendo, è la cultura cristiana che sta svanendo”.

 

In Francia, secondo lo storico Guillaume Cuchet autore di Comment notre monde a cessé d’être chrétien, la Francia cristiana è “caduta” letteralmente nel 1966. Roy è d’accordo: “Il gruppo di maggioranza in Francia è oggi quello che si definisce ‘senza religione’, vale a dire chi non riconosce più alcun legame culturale con il cristianesimo. Il secondo gruppo è quello dei ‘cristiani di identità’ che non praticano e ignorano i dogmi della fede cristiana; infine, i ‘cristiani credenti e praticanti’, che sono sotto al dieci per cento. Solo il 4,5 per cento dei francesi va a messa ogni domenica. Soprattutto quest’ultima categoria è forte tra gli ultracinquantenni, ma cala nei giovani. Il declino della pratica religiosa cristiana non è quindi terminato”.

 

La particolarità della Francia è la radicalizzazione politica di parte dei cattolici praticanti, come la Manif. “Si stanno sacrificando per l’episcopato. Ma è stato un fallimento perché la maggioranza dei cattolici praticanti ha votato per le liste di Macron alle elezioni. Possiamo dire che in Francia abbiamo, da un lato, un secolarismo intransigente che vuole scacciare la religione dallo spazio pubblico, dall’altro un cristianesimo di minoranza, militante e normativo. Questo non facilita il dialogo”. Secondo Roy, il cristianesimo in Europa non “scomparirà”. “Sopravviverà per due motivi: esiste un ‘nucleo duro’ che trova ancora più forza in quanto è minacciato. D’altra parte, c’è una richiesta di spiritualità nella società e la secolarizzazione non è esattamente sinonimo di ‘materialismo’. I valori dominanti in Europa fino agli anni Sessanta erano valori cristiani secolarizzati. Questo ora non vale più. Volevamo basare i valori dell’Europa sui diritti umani. Ma hanno contribuito ad accentuare l’individualismo che accompagna la crisi del legame sociale e della globalizzazione. Il problema del cristianesimo è che non ha più alcuna legittimità, deve riconoscere di essere una minoranza e uscire dalla fortezza per offrire una risposta a questa diffusa richiesta di spiritualità nella società. Una richiesta che avvantaggia i fondamentalisti protestanti (evangelici), i musulmani (salafiti), le sette (testimoni di Geova) o una spiritualità diffusa (zen, autorealizzazione, medicina sommersa…). I laicisti rispondono alla crisi con un’estensione dei sistemi di controllo religioso, molto spesso in nome della lotta contro l’islam: controllo rigoroso dei segni religiosi nello spazio pubblico, identificazione della pratica religiosa con il ‘fanatismo’. Per proibire il velo si proibiscono il crocifisso e la kippah. Ma allo stesso tempo, questo secolarismo non promuove valori positivi”.

 

Dal libro emerge una guerra strisciante fra cattolici liberali e cattolici identitari. “Il cristianesimo progressista e il cristianesimo identitario poggiano entrambi sulla stessa contraddizione, anche se il primo si identifica con la sinistra e il secondo con la destra: è l’idea che la fede e il dogma non siano realmente importanti ma solo i valori che vengono difesi. Queste sono due forme di secolarizzazione, perché affidano ai non credenti la gestione del riferimento religioso: ai partiti di sinistra o alla destra populista. La sinistra è stata raramente cristiana così come la destra non è più cristiana (Sarkozy, Berlusconi, Johnson), mentre la Lega ha un’origine pagana. Un certo cristianesimo progressista è già morto: quello del Vaticano II e della sinistra della democrazia cristiana. Ma secondo me, anche il cristianesimo identitario è già in crisi”.

 

Nelle analisi sullo stato del cristianesimo in Europa ricorre quella parola: effondrement. Ma, ribadisce Olivier Roy, il cristianesimo non crollerà: “Abbandona l’Europa tanto quanto l’Europa lo ha abbandonato. Questa è la differenza tra Papa Francesco e i suoi due predecessori, che erano europei e profondamente preoccupati per questa scristianizzazione dell’Europa. Francesco non condivide questa preoccupazione perché non è europeo: vede un cristianesimo mondiale che sta bene e che è la religione che oggi si sta sviluppando di più”. Ok, il cristianesimo si sta trasferendo nelle famose periferie. Ma per riprendere la domanda di un altro intellettuale francese come Rémi Brague, se il cristianesimo potrà sopravvivere senza l’Europa, potrà l’Europa fare altrettanto senza il cristianesimo?

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.