Perché i “medioevali” Araldi del Vangelo ce l'hanno tanto con gli indios
L’ultradestra cattolica, il Sinodo e la proprietà privata. Chi sono quei monaci con la zazzera di taglio militare, una tunica da cavalieri templari e stivaloni di cuoio che sostengono Bolsonaro
Il Sinodo sull’Amazzonia procede tra qualche sbadiglio della stampa, dopo lo scoppiettante inizio polemico animato soprattutto dai contestatori della linea sinodale su temi come il celibato dei preti, che con la vita delle popolazioni indie hanno poco a che fare.
C’è però una notiziola apparentemente laterale, che agita però molto i canali del dark web tradizionalista, che fornisce una chiave meno curiale e più politica dello scontro in atto sull’Amazzonia o il clima. La vicenda ruota attorno al commissariamento deciso poche settimane fa, dopo lunga inchiesta, da Papa Francesco di una associazione cattolica internazionale “di diritto pontificio”, di origine brasiliana: gli Araldi del Vangelo, che si compone anche di due rami di vita consacrata maschile e femminile. Il commissariamento non è interessante. Importa invece capire qualcosa degli Araldi del Vangelo, oltrepassando il tratto folcloristico per cui sono famosi. Chi passi per Trastevere, dalle parti della magnifica chiesetta di San Benedetto in Piscinula, può avere la ventura di incrociarli: monaci con la zazzera di taglio militare e una tunica da cavalieri templari, con una croce bianca e rossa ricamata sul petto e stivaloni di cuoio. Manca solo l’elmo e lo spadone. Perché vadano agghindati così, in pieno XXI secolo, è tema a un tempo risibile e serio. L’aspetto risibile è la venerazione per la “forma” del passato che tra l’altro, coltivata in un paese come il Brasile che nel medioevo non esisteva neppure, è anche più bizzarra e ucronica. La questione seria è invece l’ideologia di questa associazione, nata nel 1999 e riconosciuta a tempo di record (Giovanni Paolo II aveva un occhio particolarmente benevolo per il conservatorismo cattolico latinoamericano), assai ricca in virtù di donazioni e sostegni provenienti della ricca borghesia cattolica tradizionalista brasiliana. Sostenitori a spada tratta di Bolsonaro, una delle loro caratteristiche è che si ispirano al pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira: morto nel 1995, aristocratico, politico dell’estrema destra brasiliana, pensatore influente nei circoli reazionari e fondatore negli anni Sessanta dell’associazione politica “Tradizione, famiglia e proprietà” in cui diede forma al suo pensiero: l’idea che la chiesa (purificata dal modernismo) dovesse battersi per la contro-rivoluzione e il ritorno a una sedicente “civiltà cristiana” basata sulla gerarchica autoritaria di origine sacra e contro il principio (poco meno che diabolico) dell’uguaglianza tra gli esseri umani. Nonché per la difesa della proprietà e del latifondo (anche la riforma agraria è uno strumento contro la vera religione), in un paese e in un periodo storico in cui la mancata riforma agraria era invece fonte di enormi sofferenze per grandi strati della popolazione. Nel 1985 la Conferenza episcopale brasiliana dichiarò fuori dalla comunione ecclesiale il movimento, per il suo “carattere esoterico” e il “fanatismo religioso”. Va notata la data: la grande assemblea della chiesa latinoamericana di Puebla, in cui Giovanni Paolo II aveva normalizzato gli eccessi della Teologia della liberazione, ma confermato “l’opzione preferenziale per i poveri”, era stata sei anni prima, e i vescovi brasiliani non erano una banda di terroristi rossi.
Non è un caso però che l’associazione in tenuta crociata che si ispira a quelle idee prosperi e che sia stata una delle più impegnate a fomentare critiche al Sinodo. Tramite anche l’apposito Istituto Plinio Corrêa de Oliveira, che in Brasile collabora con Bolsonaro e accusa le ong di seminare “sincretismo religioso” attraverso la propaganda sul cambiamento climatico. E sostiene tesi in base alle quali “migliaia di indigeni si sono già integrati, non vivono più nell’età della pietra scheggiata, né praticano l’antropofagia” (l’antropofagia presunta degli indios è una fissa dei tradizionalisti) e questo grazie “alla libertà e all’autonomia raggiunta col nuovo governo del presidente Bolsonaro”.
Ora gli Araldi sono sotto osservazione anche per un indebito culto della personalità tributato a Plinio Corrêa de Oliveira, che solo in punto di morte aveva ricevuto una sorta di perdono pontificio. In tutto questo interessa cogliere che il vero bersaglio di questa ultradestra religiosa non sono il sacerdozio femminile o altre faccende ecclesiali, ma il fatto stesso che la chiesa possa anche solo ricordare la proprietà comune dei beni, o perorare la sopravvivenza di popolazioni minacciate. Serve un po’ di storia. Paolo VI fu criticato e odiato per la Humanae vitae, lo abbiamo qui spesso ricordato. Ma fu altrettanto contestato e odiato per l’enciclica Populorum Progressio, in cui scriveva che “i popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza” e citando Ambrogio ricordava il sacro limite imposto alla proprietà privata: “La terra è data a tutti, e non solamente ai ricchi”. La destra religiosa che sostiene Bolsonaro e non si fa scrupolo di irridere le istanze del Sinodo, anche quelle concrete, non lo fa per amore della chiesa, ma in odio ai suoi insegnamenti. E anche con una dose di esibito razzismo, come testimonia una lettera firmato da un membro laico degli Araldi e ripresa da un sito tradizionalista. In cui, uno di questi che vanno in giro vestiti come al carnevale di Rio, irride “le penne amazzoniche” e i “rituali ancestrali”. Dio sceglierà i suoi.