Va bene la cittadinanza ecologica, ma a infiammare il Sinodo è il celibato
Idee nuove e slogan da anni 70. Il Papa fa mediare a Schönborn
Roma. Il Sinodo è giunto al giro di boa, i circoli minori sono di nuovo riuniti, all’inizio della prossima settimana sarà presentata la bozza provvisoria del documento finale. E’ già possibile fare un primo bilancio. Il cardinale peruviano Pedro Barreto dice ad Avvenire che “questo Sinodo è come il Rio delle Amazzoni. Nasce come un rigagnolo sulle Ande e chilometro dopo chilometro aumenta di capienza grazie all’acqua che gli regalano gli oltre 1.100 affluenti”. In effetti, stando alle sintesi bigiornaliere fornite da Vatican News, la mole degli argomenti all'attenzione di padri, uditori ed esperti, è sempre più ampia.
Si parla di tutto: dal dovere della chiesa di “confessare i peccati ecologici” alla medicina tradizionale “valida alternativa” a quella occidentale, dal “fondamentale contributo della scienza per la tutela del Creato” allo “sfruttamento irresponsabile” e alla necessità di pensare a una “cittadinanza ecologica”. E fin qui si potrebbe essere davanti alla brochure di programma di una qualche assemblea onusiana o di qualche raduno di movimenti popolari in una località a scelta dell’America latina. Ma è su quello che fin dall’inizio è stato a ragione identificato come il punto del contendere, capace di sfasciare l’assemblea come accaduto nel drammatico doppio Sinodo sulla famiglia, che la goccia continua a scavare lentamente la roccia. C’è sempre un paragrafetto, nel rendiconto ufficiale, dedicato al ministero sacerdotale. C’è chi vorrebbe i viri probati per sopperire numericamente alla carenza di preti nei villaggi dell’Amazzonia, c’è chi invoca il sì alle diaconesse sostenendo di avere avuto il via libera papale – anche se il Papa di recente ha detto che la commissione creata ad hoc sul tema non è approdata a nulla, non riuscendo a trovare tracce concrete dell'esistenza delle signore diacono nei tempi antichi, nonostante le prove addotte dal cardinale Walter Kasper – e ci sono vescovi che addirittura hanno detto di avere già in mente qualche uomo sposato cui affidare eucaristia, confessioni e tutte le altre cose che oggi sono prerogativa assoluta del sacerdote.
C’è stata un’evoluzione della discussione sinodale: se nei primi giorni si segnalava che “una necessità legittima non può condizionare un ripensamento sostanziale della natura del sacerdozio e del suo rapporto con il celibato”, con il passare delle riunioni la posizione novatrice – che poi novatrice non è, sono teorie e slogan da anni Sessanta-Settanta – s’è fatta più forte, come peraltro profetizzato davanti alla stampa da uno dei grandi padri di questo Sinodo, l’austrobrasiliano Erwin Kräutler, teologo della liberazione e per trent’anni vescovo-prelato di Xingu, secondo il quale due terzi dei padri sono favorevoli a rivedere le norme che regolano il celibato, anche perché “gli indigeni non comprendono il celibato”. Considerato poi che – come sostenuto dai vescovi tedeschi – la mancanza delle vocazioni non è un problema solo amazzonico, qualche partecipante all’assemblea s’è chiesto: “Perché fare eccezioni esclusivamente per questa ragione?”. E’ qui che si giocherà l’esito del Sinodo: assodato che la maggioranza dei padri è a favore dei viri probati – si vedrà se anche per l’apertura a qualche ipotesi di ministero ordinato per le donne – la soluzione varrà solo per le comunità amazzoniche o sarà subito ripresa altrove, magari in occidente? Il Papa, prevedendo forse i rischi di una spaccatura non indolore, ha chiamato il cardinale Christoph Schönborn a far parte della commissione incaricata di scrivere il documento finale. Proprio come nel 2015, quando proprio l’arcivescovo di Vienna fece saltare fuori dal cappello la formula che rese possibile una maggioranza sul via libera al riaccostamento dei divorziati risposati alla comunione.