Prove tecniche per un conclave della gogna
Il Papa ha scelto di non portare avanti un’azione di contrasto al romanzo gotico decristianizzatore del mondo contemporaneo e con la scusa della pedofilia ha reso il Vaticano ostaggio della giustizia della delazione. Ben scavato, vecchie talpe
Ieri qui si è registrato con sconcerto, da parte di Matteo Matzuzzi, che col togliere il segreto pontificale dagli atti investigativi e processuali canonici, a ogni livello, Papa Francesco e il segretario di Stato hanno fatto un passo, più che verso la famosa trasparenza, verso il caos e il mondo, che come si sa sono strettamente intrecciati. La giustizia penale, con metodi ora (raramente) sacrosanti ora totalmente abusivi e parziali, ha già messo la chiesa cattolica e il suo clero in stato di accusa permanente, di sospetto e di gogna effettiva o potenziale. Che cosa si deve nuovamente ricordare? Il cardinale Pell è alla Cayenna nello stato di Victoria come il capitano Dreyfus era alle prese con l’onore dell’esercito francese e con il pregiudizio dell’antisemitismo, né più né meno, zero prove zero indizi. La Conferenza episcopale belga fu ristretta nei suoi uffici per una giornata, mentre le polizie giudiziarie scavavano in cattedrale le tombe dei grandi cardinali conciliari, come Leo Suenens, per trovare prove del diavolo contro i prelati. L’amico intimo e confessore probabile del Papa, il vescovo Zanchetta coinquilino di Francesco in Santa Marta, è nei guai per un affare opaco ma disgraziato. Il Cile, l’Irlanda, la Germania, la Francia del cardinale Barbarin, l’intera regione nordamericana, l’Australia: tra gli antipodi niente e nessuno, salvo in parte l’Italia, paese felicemente incredulo e felicemente papista, è stato risparmiato, e il clero celibe cattolico è diventato praticamente sinonimo di peccato carnale ai danni di bambini efebi adolescenti giovanotti, non senza una crescente attenzione al #metoo delle monache.
Il regime ecclesiastico, che è fatto anche di ordine gerarchia e disciplina, è stato letteralmente scompaginato, fino alle dimissioni o renuntiatio di un Papa regnante. I fatti, la loro vera natura, la loro vera dimensione, la loro infinita complessità in un’organizzazione evangelicamente paterna e fraterna, in cui ha posto eminente la cultura o il sentimento della paideia, dell’educazione dei fanciulli e delle fanciulle, sono ombre sullo sfondo: in primo piano la voce delle vittime, dei comitati che le organizzano e che lucrano sulla soddisfazione giudiziaria delle accuse, degli avvocati e gran giurì che rimestano nel torbido senza scrupoli garantisti, all’inseguimento della narrazione mainstream e politicamente corretta, dei giornali e delle televisioni e delle grandi sceneggiature hollywoodiane. Dopo anni di spotlight, di riflettore sull’inferno della pedofilia e della pedopornografia nel clero, il mondo pansessualista abortista genderista libertario e libertino ha deciso dove parcheggiare la sua coscienza inquieta: nel garage del Vaticano, nei suoi sotterranei, e nelle vaste praterie diocesane della sua struttura clericale e territoriale, perché è là che si pratica il peccato pedofilo sostanzialmente estraneo alla vita delle famiglie, delle scuole, della società civile laica, fuori le mura, dove il desiderio che non osa dire il suo nome ha preso il posto dell’evangelizzazione e della cura d’anime che sono una copertura del delitto senza castigo.
La chiesa non ha saputo potuto voluto opporre un’azione civile e culturale di contrasto al romanzo gotico decristianizzatore del mondo contemporaneo. Forse non ne ha la forza sebbene ne abbia tutte le ragioni. Non ha voluto ribadire la distinzione kantiana tra reato e peccato, non ha voluto proteggere la cura cattolica delle anime dei peccatori dal governo civile e penale degli autori di crimini pedofili. Ne è seguita la tolleranza zero, e con l’abolizione del segreto canonico pontificio è completata la perdita di autonomia e di sicurezza di sé di una istituzione bimillenaria a fronte delle pretese inquisitoriali dei sistemi di giustizia penale, che ora possono accedere, come se fossero fogne di perdizione, a tutti gli archivi e a tutte le denunce, anche le più farlocche e improbabili, che colpiscono preti, cioè esseri umani, insegnanti, maestri, pastori in uno con i loro superiori, tutti potenzialmente rei di copertura, cioè di non avere, anche in un lontano passato, esercitato attivamente una totale sottomissione della chiesa allo stato. Chiesa schiava in uno stato inquisitorio invece che libera chiesa in libero stato.
Il professor Melloni, erudito spadaccino di questo papato, ha spiegato su Repubblica il risvolto “conclavario” dell’ultimo atto di trasparenza. Bisogna esser certi che nessuno nel collegio cardinalizio sia suscettibile di questa lebbra che è il peccato carnale sui ragazzi o la sua copertura pastorale. Solo così, e pazienza – dice Melloni – se ci andrà di mezzo qualche innocente, si salvaguarda la reputazione del collegio elettorale del Papa e del Papa stesso. Per capirsi: ora che il magistrato civile può accedere a tutta la documentazione canonica, dal centro alle diocesi alle parrocchie agli ordini religiosi, e comportarsi con i prelati come certe magistrature si comportano con i parlamenti, piazza pulita è fatta, chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato, unicuique suum, la perfetta giustizia. Con un particolare che la dice lunga sull’autonomia ecclesiastica: la perfetta giustizia della delazione e del sospetto generalizzati, e senza nemmeno più un grado infimo di protezione nel recinto canonico, è quella dello stato, non quella della chiesa nella sua autonomia. Ben scavato, vecchie talpe. Vedrete che bel conclave ora vi aspetta.