Quell'Annunciazione che mette in gioco la nostra libertà interrogandoci sul senso della vita
A Lecco si può ammirare l'opera “ritrovata” del Tintoretto, che aiuta a svelare l’imponente mistero dell’Incarnazione e il significato del Natale
La semplice notizia della possibilità di ammirare a Lecco, lungo il tempo natalizio, una sorprendente e poco conosciuta Annunciazione del grande Tintoretto, risveglia nella mia mente e nel mio cuore la straordinaria esperienza vissuta come Patriarca di Venezia. In quei quasi dieci anni la mia azione pastorale mi ha dato più volte l’occasione di immergermi nell’opera di questo grande protagonista della pittura del 500 ammirandone i dipinti, soprattutto l’ampia collezione della Scuola Grande di San Rocco. Guardando quest’opera giovanile la mente corre subito all’Annunciazione della maturità del Tintoretto là conservata, con la sua rivoluzionaria concezione dello spazio, il sapiente disegno dei corpi e il dominio ordinato della “sovrabbondanza” dei personaggi. Il tutto concorre a svelare l’imponente mistero dell’Incarnazione. Tuttavia anche questa, solo a prima vista più semplice, Annunciazione del doge Grimani, non è meno efficace nel comunicare il significato del Verbum caro factum. Anzi. Lo straordinario fa irruzione nel quotidiano ordinario di una giovane veneziana del XVI secolo ben identificabile da alcuni elementi della scena (la finestra con le tipiche vetrate dei palazzi che si affacciano sul Canal Grande, i mobili e il cesto con i lavori, le vesti dei protagonisti…) con qualche discreto accenno alla storicità dell’episodio, come il talled, il velo ebraico indossato durante la preghiera, richiamato dalla copertura dell’inginocchiatoio.
Dalla finestra aperta entra lo Spirito e, “come vento impetuoso” (cf At, 2,2), invade lo spazio chiuso con i nimbi della gloria. L’Eterno entra nel tempo, l’Infinito nel finito, l’Universale nel particolare… Il mistero mirabile dell’Incarnazione, la storicità e la contemporaneità ad ogni uomo di ogni tempo dell’avvenimento cristiano sono potentemente evocati in questo capolavoro.
In occasione della recente canonizzazione del card. Newman, ho riletto alcune sue omelie. Ne cito una che mi sembra sintetizzare il significato del Natale: “Il Figlio di Dio si sottomise a diventare il Figlio di Maria, ad essere preso nelle sue mani, ad avere l’occhio della madre fisso su di lui, ad essere nutrito dal suo seno. Una figlia dell’uomo divenne la Madre di Dio: per lei certo un ineffabile privilegio di grazia, ma per lui quale condiscendenza! …” (Newman, Parochial and plain sermons, London 1869-70).
Nell’espressione del volto dei due protagonisti si possono leggere, a un tempo, stupore e tremore. Nella rappresentazione dell’Arcangelo Gabriele ci sono “indizi” del contenuto sconvolgente del suo messaggio: “La vergine concepirà e partorirà un figlio” (Is 7,14). Egli tiene nella mano sinistra un giglio (simbolo di castità verginale), ma la profonda cavità che si intravvede nell’ampio drappeggio della sua veste potrebbe suggerire la maternità (non horruisti Virginis uterum, Te Deum). Maria è Vergine e Madre. Madre perché vergine e vergine perché madre. Inoltre la posizione delle dita della mano destra con cui l’angelo si rivolge alla Vergine si rifà forse alla tradizione che in questo gesto evoca le due nature nel Figlio incarnato.
Guardando poi la figura di Maria, oltre al volto aureolato e allo sguardo tutto teso al suo sorprendente interlocutore, colpisce il movimento delle mani che sembra alludere al dono del proprio cuore verginale alla volontà di Colui per il quale “nulla è impossibile” (Lc 1,37b).
Tintoretto coglie i due protagonisti in evidente dialogo. Così come viene articolatamente proposto dal Vangelo di Luca (1, 26-38) questo dialogo è di grande attualità. E non solo per i cristiani.
Per ben tre volte la Vergine interrompe il messaggio dell’Angelo. Dapprima con il suo turbamento (“fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo” v 29). Poi in forma esplicita e diretta, chiedendogli: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?” (v 34); e solo alla fine, dopo che l’Angelo in un qualche modo gliene ha offerto le prove, concedendosi totalmente con il suo fiat all’iniziativa dello Spirito: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (v 38).
La libertà della Madonna che, non dimentichiamolo, non aveva probabilmente più di quindici sedici anni, è totalmente all’erta e non si arresta nemmeno di fronte all’evidente divino annuncio. Nel serrato dialogo con l’Angelo ella dispiega tutta la sua capacità critica. Ogni capolavoro pittorico si distingue dalle opere più ordinarie perché provoca nello spettatore un processo di immedesimazione. Un processo analogo a quello dell’Eucaristia che, non a caso, nel momento dell’elevazione, viene identificata con il termine greco anafora (l’atto di portar su), per cui non sei più tu a catturare il quadro, ma è il quadro che cattura te.
Questa straordinaria Annunciazione del Tintoretto mette in gioco la mia libertà e mi interroga sul senso della mia vita. Mi (e ci) assicura – e questo è anche il significato del Natale cui ci stiamo preparando –: c’è un destino buono che giungerà a pienezza nel passaggio all’altra riva. Esiste ed è presente. Si tratta solo di vivere la vita con il suo nome: vocazione. A questa chiamata nessuno può evitare di dare risposta, come fa Maria con il suo fiat. Le sue mani sul cuore fanno presagire la scaturigine del suo sì.
Angelo Scola, cardinale arcivescovo emerito di Milano
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