Dimesso XVI
Lo stile di (post) governo del Papa emerito e qualche problema collaterale. Regnare e non regnare
Il celibato qui non è a tema. E nemmeno gli arcana da spericolati vaticanisti su chi abbia ragione o torto, dove il danno e dove il dolo. Si annota solo che la schiuma affiora da scontri fratricidi in corso, molto concreti. Se il Papa emeritus, attraverso repentina comunicazione del suo segretario mons. Georg Gänswein chiede sia tolta la firma al volume presentato come suo e del card. Robert Sarah, il senso è chiaro anche a voler trascurare il madornale fatto che il segretario particolare dovrebbe conoscere la collocazione editoriale di un testo del Papa emerito, e renderlo edotto: quella firma, su quel libro, in questo preciso momento, rischia di essere interpretata (da alcuni interessati) come un atto di governo, la conferma di una dicotomia funzionale che la forma dei due Papi, pur semper reformanda, invece esclude per la stessa scelta iniziale di Benedetto XVI. Il che non toglie, ovviamente, tutto il peso persino dirompente di quanto ha scritto di sua mano.
Questo premesso, si può fare una considerazione – non una critica, sarebbe stupido prima che irrispettoso – non sulla libertà del Papa emeritus di “non tacere” ma sul suo stile di governo. Di quando cioè era al Soglio, e del suo modus operandi simmetrico ora che non governa più (non è nella possibilità, ammesso ne abbia voglia) e nemmeno è in condizione di esercitare una “leading from behind”, come invece molti oppositori di Francesco non mancano mai di rivendicare (creando, loro sì, un dualismo inesistente dal momento che, con la renuntiatio, lo stesso Benedetto istituzionalizzò l’esistenza di un Papa non più regnante). Ma se i più scalmanati sostengono che “Benedetto ha dato un ordine e non un consiglio”, tesi lunare, significa che un problema di governance c’è. E ha a che fare con l’intero pontificato di Ratzinger. Da quando ha rinunciato alla funzione petrina, è più volte intervenuto pubblicamente con alcune sue note “governanti”. E qualche problema è sempre sorto.
E’ interessante che si è trattato (quasi) sempre di interventi che sono puntualizzazioni, rintuzzamenti o piccoli regolamenti di conti teologici ed ecclesiali intratedeschi. Lo ha fatto nel caso del suo testo “censurato” nel 2018, una prefazione a una collana teologica, che costò il posto al prefetto per la Comunicazione Dario Edoardo Viganò. La parte tenuta nascosta esprimeva “sorpresa per il fatto che tra gli autori figuri anche il professor Hunermann, che durante il mio pontificato si è messo in luce per avere capeggiato iniziative antipapali”. Lo ha fatto nell’aprile scorso con gli “appunti” inviati al mensile tedesco Klerusblatt sugli scandali morali della chiesa, in cui non mancò di togliersi alcuni sassolini rispetto agli anni post Concilio in cui “in non pochi seminari (accadeva che) studenti, scoperti a leggere i miei libri, venivano considerati non adatti al sacerdozio”. E ora il testo sul celibato, in cui è evidente che al centro del suo pensiero ci sia “lo scisma” progressista tedesco più che l’Amazzonia. Professore e teologo qual è, in questi casi ha mostrato un mirato interesse a chiarire aspetti del suo pensiero e del suo successivo magistero. Il che è legittimo, è fonte di preziosa ammonizione per la chiesa e pure di grande godimento intellettuale. Ma va notato che – uomo di pensiero più che di governo – Benedetto XVI ha impegnato anche molto del suo pontificato a chiudere contenziosi relativi alla sua pregressa esperienza: con la Teologia della liberazione, il Concilio, la risistemazione storica e teologica della figura di Gesù contro alcune interpretazioni fuorvianti. Ma ha mostrato per l’inverso un polso meno fermo, o meno acribia, in altre vicende poi dolorosamente esplose. Questo è stato il suo stile di governo, ma poi si è dimesso. I motivi della rinuncia sono soltanto quelli cui lui personalmente ha accennato, ma tra le interpretazioni, alcune molto acute, che ne sono state date se ne può forse aggiungere una legata alla specificità del suo stile di Papa: non voleva governare come un autocrate, o non lo sapeva fare. Però compiuto quel passo, perpetuare quello stile puntualizzante e sistematorio, nel recinto di Pietro in cui ora vive la dimensione più eminentemente spirituale del munus petrino, è faccenda che corre il rischio di creare confusioni. Se voleva regnare – cioè pronunciare parole che sortiscono un legittimo effetto di legge – ne ha avuto il tempo, prima. Non è neppure pensabile imputargli di voler gettare zizzania: Joseph Ratzinger-Benedetto XVI oltre a essere uno dei massimi intellettuali del suo secolo è anche un uomo mite e che ama con semplicità disarmata e illuminante la chiesa. Però altri forse meno, altri pronti a insinuarsi nelle pieghe sottili tra governo e guida spirituale. E non sempre è un agire ingenuo, a fin di bene.