Per essere cristiani ci vogliono immaginazione morale e creatività intuitiva
La vitalità intellettuale del cattolicesimo d'oggi. Un libro di Roberto Righetto
E’ quasi incredibile quante idee e prospettive utili, preziose, anche inaspettate e fra loro connesse Roberto Righetto sia riuscito a concentrare in un libro relativamente breve come Parole Oltre (Edizioni dell’Asino, 255 pp., 16 euro). Il sottotitolo “I libri che i cattolici devono leggere” può sembrare passionalmente imperativo; ma il lettore capirà presto perché. La posta in gioco è altissima. Si tratta della vitalità culturale, intellettuale, del cattolicesimo oggi. Cattolico, come viene precisato dall’autore, più che “universale”, significa “estroverso”, “in espansione”; e un cristianesimo che non mostri la capacità di “attraversare il tutto”, di muoversi nel mondo così com’è senza permettere che si chiudano gli occhi su nessun aspetto della vita attuale, rischia di non avere più significato. Convinzione ferma dell’autore è che il cristianesimo ha bisogno della cultura e la cultura ha bisogno del cristianesimo.
Uno degli strumenti più efficaci che Righetto usa di preferenza e con competenza per rendere estroverso il discorso religioso è la letteratura, in particolare la narrativa, sia moderna che contemporanea. Ci ricorda per esempio, con Milan Kundera, che la prima grande modernità è quella che incontriamo nei capolavori di Rabelais e di Cervantes e che nella migliore produzione romanzesca c’è più sapere psicologico e storico di quello che possiamo trovare nelle sistemazioni generali ma più astratte di storici e psicologi. La cosa non può scandalizzare: Marx disse di avere imparato moltissimo da Balzac e Freud vide in Dostoevskij un precursore. Sappiamo poi quanto Kafka abbia insegnato ai sociologi e ai filosofi del Novecento, da Benjamin e Adorno a Camus e Canetti.
Il libro raccoglie una serie di articoli pubblicati da Righetto su Avvenire nel 2017 e un piccolo dizionario di idee e temi (da “Bontà” a “Sofferenza”, da “Corpo” a “Intellettuali”) usciti anche sull’Osservatore Romano nei due anni successivi. Nell’insieme, dunque, una piccola enciclopedia che consiglierei di avere sottomano non solo ai cattolici ma forse, anche di più, ai non credenti che tendono a non rendersi conto di quante amputazioni soffra una cultura che continua a giudicare le tradizioni religiose una cosa del passato. In realtà né le scienze naturali né le scienze umane hanno superato il problema del credere e del non credere. Il mondo razionalizzato e desacralizzato, oltre a vivere di nuovi, diversi, rigidissimi dogmi e miti, ha già ripetutamente mostrato la sua inumanità. La Storia, con i suoi molto circoscritti e spesso presunti progressi, non è un fine in sé, ha bisogno di criteri e valori che permettano di giudicare il suo bene e il suo male. L’ateismo materialistico è solo un’ipotesi filosofica fra le altre, piuttosto carente quando si tratta di spiegare sentimenti e comportamenti morali di un individuo o di una comunità.
Ma d’altra parte (questo è il punto focale del libro di Righetto) un cristianesimo incapace di “incarnarsi” storicamente e socialmente, sordo e indifferente nei confronti della cultura contemporanea, corre gravissimi rischi di astrattezza, di sterilità, di avarizia conservatrice. Il cristianesimo è e deve restare una filosofia di vita umanistica. Dopo san Francesco, lo capirono Giovanni Pico della Mirandola, il maggiore umanista del Quattrocento, e nel Novecento, tra gli altri, Daniélou, Chesterton, Bernanos, Mounier e Simone Weil, il cui pensiero etico-politico è uno dei punti più alti dell’intero secolo.
Per Daniélou, gesuita e cardinale, la cultura letteraria, in un’epoca dominata dallo scientismo, è uno “strumento di cultura interiore”. Per una narratrice cattolica come Flannery O’Connor, l’arte di narrare era impensabile senza l’incarnazione (e in effetti i Vangeli non sono una teologia ma un racconto). L’ebrea olandese Etty Hillesum, morta ad Auschwitz, si riconobbe in sintonia con “l’inno alla carità” di san Paolo: “questa terra potrebbe ridiventare un po’ più abitabile solo grazie all’amore di cui l’ebreo Paolo scrisse agli abitanti di Corinto”. E poi: “A ogni nuovo crimine e orrore dovremo opporre un frammento di amore e di bontà che bisognerà conquistare in noi stessi”. Sorprendente, polemica ma illuminante, è la descrizione immaginifica che il filosofo Jacques Maritain, divenuto cattolico dopo essere stato socialista rivoluzionario, fece dei dannati: “Sono degli attivi, lavorano tutto il tempo, hanno la religione del lavoro. Costruiscono, organizzano e i loro edifici crollano, a causa delle loro divisioni e dei loro odi, ma continuano a costruire e a lavorare. Senza posa fanno politica. Essi faranno delle città nell’inferno, delle torri, dei ponti…”.
Chi sono questi dannati? Sono fra noi? Siamo noi? Per essere davvero cristiani, oggi più che in passato, ci vuole immaginazione morale, creatività intuitiva. Credo che il libro di Righetto in ogni sua pagina suggerisca soprattutto questo.
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