Negli ultimi anni è cresciuta un’ala del mondo cristiano che, pressata da una secolarizzazione iper-aggressiva, ha arroccato le sue posizioni su una versione della religione identitaria e oppositiva alla democrazia occidentale
Milano. Il diffuso sospiro di sollievo, screziato da qualche sghignazzo, che si è levato in molte parti del mondo “religioso” alla notizia del brutto tonfo di Steve Bannon, quasi un Libera nos a Malo, non ha a ben guardare una base razionale così forte. Un po’ perché Bannon, l’uomo che voleva processare Francesco e che a Matteo Salvini consigliava di “attaccare il Papa” sui temi arcinoti, non è in realtà un leader religioso e non lo è mai stato. Nominalmente cattolico, non è il tipo del predicatore ultraconservatore di cui è costellata da sempre la politica americana (esiste anche la versione di sinistra). I suoi appelli etico-fideisti degli scorsi anni vanno più che altro verso l’universo mentale della alt-right. Un po’ perché la sua influenza come ideologo e tessitore di rivoluzioni su mandato divino era assai sopravvalutata anche ai tempi in cui predicava l’imminente inizio di “un conflitto sanguinoso e terribilmente brutale” da cui le fedi giudaico-cristiane non avrebbero potuto chiamarsi fuori, o quando indicava al mondo il modello della “christian democracy” di Orbán. Ma ancora di più, i “prog” di tutte le fedi che oggi si sentono vicini a schiacciare la testa del serpente dovrebbero riflettere che non è Bannon il loro problema. Come non lo sono gli altri leader della destra sovranista rivestiti di pose religiose.
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