Il direttore della Civiltà cattolica, Antonio Spadaro, ha un ruolo rilevante nella riorganizzazione della comunicazione vaticana introdotta da Papa Francesco. Fin dall’inizio del pontificato Bergoglio gli concede interviste, in modo da far conoscere attraverso le sue stesse parole, senza mediazioni, i suoi orientamenti. Ciò non significa che Spadaro rinunci a presentare all’opinione pubblica la sua interpretazione della linea papale; ma, proprio per il rapporto personale che intrattiene con il confratello gesuita, ne appare un interprete autorizzato. Per questa ragione un intervento da lui compiuto in un seminario, organizzato dal quindicinale della Compagnia di Gesù in Italia nell’autunno del 2015 sul rinnovamento della Chiesa – gli atti sono stati pubblicati dall’editrice Queriniana col titolo La riforma e le riforme della Chiesa – era apparso particolarmente significativo. Spadaro vi sosteneva che, per comprendere quella riforma della chiesa che nel documento programmatico del pontificato, l’esortazione apostolica Evangelii gaudium, Francesco aveva definito “improrogabile”, occorreva rifarsi alla spiritualità ignaziana e in particolare alla teoria del discernimento del fondatore dei gesuiti. Nell’ultimo numero della Civiltà cattolica, datato 5 settembre, il direttore del periodico è ritornato sull’argomento con un articolo che, sotto il titolo Il governo di Francesco pone, come sottotitolo, una domanda impegnativa: E’ ancora attiva la spinta propulsiva del pontificato? In effetti il sintagma “spinta propulsiva” rimanda a un momento importante della storia contemporanea. Il 15 dicembre 1981, in una conferenza stampa televisiva, l’allora segretario del Partito comunista italiano, Enrico Berlinguer, commentava il colpo di stato che aveva portato il generale Jaruzelski al governo della Polonia con un giudizio tranciante: quell’evento significava che si era esaurita la “spinta propulsiva” della rivoluzione d’ottobre del 1917, presentata come “il più grande evento rivoluzionario della nostra epoca”. Ne traeva la conclusione che sulla via della costruzione del socialismo si era conclusa una fase storica e se ne apriva un’altra da impostare su princìpi (la libertà e la democrazia) del tutto diversi. Difficile ritenere inconsapevole il ricorso a un’espressione così densa di significati.
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