Nel corso delle congregazioni generali del pre Conclave, i cardinali convenuti a Roma avevano subito iniziato a discutere di riforme e trasparenza. I corvi non si vedevano più volteggiare sul Cupolone, i tre commissari nominati da Benedetto XVI (i cardinali Herranz, Tomko e De Giorgi) avevano appena consegnato il loro rapporto su Vatileaks. I più agguerriti erano gli americani, conservatori e progressisti uniti nell’invocare una rivoluzione di sistema, con un Papa-manager che rendesse la curia un qualcosa di adeguato al secolo Ventunesimo. Alla fine fu eletto il cardinale Bergoglio, che subito iniziò a lavorare su quel fronte: commissioni, comitati, gruppi di lavoro, un dicastero creato ad hoc (la Segreteria per l’economia), la voglia di riformare lo Ior – qualcuno ne aveva suggerito la chiusura ma Francesco capì subito che trattavasi di pura utopia – lo spoils system applicato al Consiglio per l’Economia. Questione di soldi, sempre di soldi. E tutto sembrava andare avanti bene finché la vecchia curia non alzò muri e steccati contro il cardinale australiano che comunicava solo via mail con i confratelli porporati e andava a lamentarne la poca delicatezza davanti al Papa. Le cose si sa poi come sono andate, il processo contro George Pell, il depotenziamento del suo dicastero, il ritorno in auge della Segreteria di stato dove Giovanni Angelo Becciu era il potente sostituto.
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