L'origine non troppo misteriosa dell'immaginario populista. Un libro
Dove nascono la povertà e l'autoritarismo dell'America Latina. Un'indagine di Loriz Zanatta tra Peron, Fidel e Bergoglio e che parla anche di noi
Da qualche mese è in circolazione un libro dal titolo intrigante: Il populismo gesuita. Perón, Fidel, Bergoglio (edizioni Laterza). L’autore, Loris Zanatta, insegna Storia dell’America latina all’Università di Bologna e ci dice fin dalle prime battute la finalità del libro: mostrare “le radici delle grandi piaghe storiche dell’America latina: autoritarismo, povertà, disuguaglianza”, sollevando “il velo su una pista meno superficiale di altre più in voga”. Il “populismo gesuita”, appunto. Se populismo è già di per sé parola ambigua, difficile da definire, usata spesso nei modi più disparati, figuriamoci che cosa può venir fuori allorché il sostantivo viene associato con l’aggettivo “gesuita”. E invece il libro, scritto peraltro in un italiano raffinato e pungente, ci conduce pian piano nei meandri di una storia che, per quanto ardua e intricata, anche il profano che poco sa di Perón, Evita, Castro, Chávez o Bergoglio, sente subito affascinante.
Sì, Zanatta ha ragione; quando dice “posso sbagliare, disorientare, irritare, ma so di cosa parlo”, dice qualcosa che il lettore riconosce immediatamente. Ma andiamo per ordine, incominciando dalla definizione che viene data di populismo. “Penso – dice Zanatta – che il populismo esprima il rimpianto di un’unità smarrita, un’innocenza perduta, un’identità dissolta; e che ambisca a restaurarle. E’, in breve, una nostalgia di unanimità. So bene che è una formula letteraria: non misura non calcola, non perimetra. Eppure evocare è talvolta meglio che definire; meno preciso, più profondo”. Ed è precisamente nella cristianità ispanica latinoamericana forgiata dai gesuiti che Zanatta individua la sorgente dell’immaginario populista; in un mondo dunque che non aveva ancora la minima idea di che cosa fosse la sovranità del popolo, ma che certamente lavorava sulla sua innocenza, la sua elezione, la necessità di preservare la sua unità di fede e in ultimo la sua redenzione.
Tutte parole destinate ad acquisire inquietanti significati secolari all’interno dei successivi populismi latinoamericani, definiti per questo “gesuiti”: la redenzione che diventa rivoluzione; l’unità di fede che diventa unanimità ideologica e politica; l’innocenza del povero che diventa innocenza del popolo; il tutto in uno spirito manicheo volto a esasperare la lotta del bene contro il male, nel tentativo di recuperare una sorta di innocenza perduta. E qui veniamo al punto. “Il nemico – dice Zanatta – sta al populismo come il demonio al Regno di Dio. Quello dei ‘populismi gesuiti’ è la nascita dell’individuo moderno che minò l’unanimità della comunità organica, la rivoluzione scientifica che infranse l’aura sacra del creato, la razionalità illuminista che incrinò la simbiosi di fede e ragione, il liberalismo che sciolse la fusione tra sfera spirituale e sfera temporale, il capitalismo che incensando la prosperità esaltò l’egoismo.
Tutto ciò causò disordine, conflitto, pluralità: cose che nella visione redentiva del populismo non sono la fisiologia della condizione umana, ma patologie che attentano all’organismo sano chiamato popolo”. Ostilità al liberalismo e al capitalismo incarnati negli Stati Uniti d’America; pretesa di incarnare il cristianesimo più autentico, quello che vive nel cuore profondo del popolo; volontà di realizzare la nuova unità della nazione, grazie alla fede e all’obbedienza imposte spesso con la forza; predilezione per forme di democrazia diretta o plebiscitaria: sono questi gli elementi che accomunano un po’ tutti i populismi latinoamericani.
Le pagine che Zanatta dedica a Perón, Castro e Chávez o quelle che dedica alla teologia della liberazione come tentativo di assorbire il marxismo nel cristianesimo, non viceversa, e quindi come una forma di “populismo gesuita”, sono assolutamente da leggere. Raccontano la storia di popoli e nazioni, l’Argentina, Cuba, il Venezuela, che, anziché la democrazia liberale, hanno conosciuto soprattutto quella populista, rivoluzionaria, demagogica e gerarchica, avente come obiettivo la loro redenzione, e che proprio per questo sono rimasti imprigionati nella loro povertà e nelle loro scandalose disuguaglianze, impediti nella possibilità di valorizzare le loro risorse. Una storia triste, che però, ecco un motivo in più per leggere questo libro, per certi versi parla anche di noi. Anche noi infatti, e non da oggi, siamo alle prese col populismo.
Un populismo che sarebbe certo fuorviante definire “gesuita”, ma che tuttavia condivide, oltre a qualche elemento cattolico, soprattutto lo stesso antiliberalismo. Ne fanno fede l’ostilità nei confronti della democrazia rappresentativa, la nostalgia per il sovrano virtuoso, sensibile ai bisogni del suo popolo, piuttosto che la sovranità della legge, la difficoltà crescente a distinguere tra morale e politica e, più forte di tutti, la crescente ostilità nei confronti del libero mercato e della ricchezza, a tutto vantaggio di uno stato sempre più pervasivo. Non sarà un populismo gesuita, tipo quello latinoamericano, ma di questo passo potrebbe produrre gli stessi danni.
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