La bolla di Twitter, pullulante di professori, storici della chiesa, intellettuali e teologhe (quelle che volevano correggere una frase di san Francesco perché discriminante nei confronti delle “sorelle”), si è chiesta perché Camillo Ruini venga ancora intervistato dai giornali. Il tutto tra ironia, sorrisetti di compatimento per un quasi novantenne che farebbe meglio a starsene in silenzio. E’ curioso il modo d’agire di questi aedi della parresia, che va bene solo quando l’altro dice quello che si vuol sentire dire. Altrimenti è solo un esponente del vecchiume da far tacere. E’ uno dei problemi non tanto della chiesa di oggi, quanto del modo di raccontarla. Una senatrice americana, Olympia Snowe, considerata la più progressista tra i repubblicani, si ritirò una decina d’anni fa lamentando polemicamente la fine della concordia parlamentare: niente più collaborazione tra i partiti, solo muro contro muro. Tu sei amico, tu nemico. Con le dovute proporzioni accade la stessa cosa nel racconto della quotidianità ecclesiale. Siccome Ruini non è in linea con il pensiero oggi dominante, non deve avere diritto di tribuna. A rilevare non è tanto quanto dice nelle interviste, bensì il solo fatto di parlare. Dire “criticare Papa Francesco non significa essergli contro” – cioè dire una banalità – basta per irritare gli ultras della parresia a senso unico. Ai contenuti si bada poco. Peccato, perché il bello (e anche il divertimento che mantiene svegli) è proprio il dibattito franco e libero, senza “coltelli sotto il tavolo”, come più volte detto dal Papa. Parli Ruini e parli Maradiaga, parli Marx e parli Burke. Davvero la chiesa deve temere che qualcuno parli? Si spera di no.
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