E se alla fine il vero scisma nella Chiesa fosse quello americano? E’ una provocazione, certo: oltreoceano non si battono i pugni contro Roma né si indicono sinodi locali per cambiare dottrina e pastorale, portando sull’altare le donne perché maschi disponibili non ce ne sono più e dicendo basta con l’antiquata moda del celibato sacerdotale. Però qualcosa si muove, tra spaccature profondissime all’interno della Conferenza episcopale degli Stati Uniti – che un peso ce l’ha all’interno della Chiesa, ché qui il principio dell’uno vale uno non conta, Deo gratias – emerse nelle ultime due settimane segnate dall’assalto al Campidoglio e dall’insediamento del nuovo presidente, il cattolico Joe Biden. Tutto sembrava apparecchiato per suggellare il patto di ferro tra Roma e Washington, tra Santa Marta e la Casa Bianca. Il successore di Donald Trump aveva pure messo la foto di lui con il Papa dietro alla scrivania nello Studio Ovale, quasi a rimarcare l’importanza del legame con il Tevere. La grancassa mediatica aveva fatto il resto, con gli alert sulle messe mattutine che avevano visto Biden in prima fila, le visite al cimitero, le sottolineature dei riferimenti a sant’Agostino che in brodo di giuggiole avevano mandato osservatori al di qua e al di là dell’oceano. La sottolineatura marcata dell’appartenenza religiosa del nuovo presidente, fatta proprio dalle categorie che fino al giorno prima commentavano severe, Vangelo alla mano, che la fede non va esibita e che il Padre si prega nel segreto della propria camera, con la porta ben chiusa. Invece la cattolicità è diventata un tratto caratterizzante dell’uomo nuovo al comando, attributo adatto allo stigma dell’unificatore per necessità di un paese lacerato che ha visto i cattolici – seppure di poco – preferirgli uno come Trump, che la Bibbia la mostrava al contrario e che contava i dollari prima di decidere quali e quanti infilare nella cassetta delle offerte. Ma la citazione del De civitate Dei non ha convinto per niente il vertice della Conferenza episcopale americana, che subito dopo l’insediamento e le marcette che accompagnano il presidente alla Casa Bianca, ha emesso un comunicato inusuale in cui le carte sul tavolo vengono scoperte senza troppi cedimenti alla cortesia istituzionale e al linguaggio diplomaticamente e politicamente corretto. Dopo una lunga premessa su quanto sarà bello lavorare con il presidente Biden “primo presidente in sessant’anni a professare la fede cattolica” anche perché “in un periodo di secolarismo crescente e aggressivo nella cultura americana sarà rinfrancante impegnarsi con un presidente che comprende chiaramente in modo profondo e personale l’importanza della fede e delle istituzioni religiose”, si arriva al punto: “Devo sottolineare – scrive il presidente dei vescovi, mons. José Horacio Gómez – che il nostro nuovo presidente si è impegnato a perseguire determinate politiche che promuoveranno i mali morali e minaccerebbero la vita e la dignità umana, soprattutto sull’aborto, la contraccezione, il matrimonio e il gender”. In pericolo, insomma, “c’è la libertà della Chiesa e la libertà dei credenti di vivere secondo la loro coscienza”. Se non fosse chiaro, “per i vescovi della nazione la continua ingiustizia dell’aborto rimane la priorità preminente”. Tutto il resto, dunque, viene dopo. Un bel problema.
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