editoriali
La chiesa tedesca provoca il Papa
Una donna eletta segretario dell’episcopato. Un guanto di sfida a Roma
Il nuovo segretario generale della Conferenza episcopale tedesca è la teologa Beate Gilles, la prima donna a ricoprire tale importante ruolo occupato negli ultimi ventiquattro anni dal gesuita Hans Langendörfer. Non a caso, il numero uno dei vescovi di Germania, mons. Georg Bätzing, ha salutato la novità parlando di “segnale forte” inviato a Roma, confermando che nonostante i richiami all’unità e gli altolà che dal Papa in giù la curia vaticana ha dato ai vescovi tedeschi impegnati nel loro Sinodo biennale “vincolante”, la strada è ormai tracciata. Costi quel che costi. Nella sua prima conferenza stampa, la signora Gilles si è detta entusiasta del nuovo incarico, sottolineando che “questa è una fase impegnativa per la Chiesa cattolica in Germania. Qualcosa di nuovo è iniziato con il cammino sinodale”.
Al di là delle qualità della signora Gilles, che nessuno mette in dubbio, è evidente che la scelta dell’episcopato tedesco sia una risposta a quanti (soprattutto fuori dai confini tedeschi) chiedono che il percorso biennale si fermi prima che sia troppo tardi, prima cioè che la frattura con Roma diventi insanabile. Il cardinale Rainer Maria Woelki l’aveva detto alla fine della scorsa estate: il rischio è di veder nascere una chiesa nazionale che – era il senso implicito dell’affermazione – fosse indipendente da Roma. I punti all’ordine del giorno sinodale sono noti: ordinazione delle donne, fine del celibato sacerdotale obbligatorio, nuova morale sessuale. Tutte questioni che già nel giugno del 2019 avevano preoccupato il Papa, autore di una lettera che invitava i presuli a ripensarci. Senza successo. Dopotutto, concedendo ex cathedra anche qualche forma di “autonomia dottrinale” alle conferenze episcopali locali, può accadere che qualcuno si metta in testa di propiziare una deriva scismatica.