Cardinali epurati, gendarmi cacciati, leader spirituali esiliati. Il grande equivoco del pontificato di Francesco è l’idea che la Chiesa sia ormai un Parlamento dove uno vale uno. Quando in realtà resta una monarchia assoluta
Poiché fu Pier Paolo Pasolini a dire che “la Chiesa non può che essere reazionaria, non può che accettare le regole autoritarie e formali della convivenza”, non c’è timore d’essere equivocati quando si parla di Francesco, Pontefice regnante, come di un vero e perfetto Papa re. Non tanto nell’accezione del sovrano assoluto detentore del potere temporale prima su un terzo d’Italia e poi sul Lazio e infine su qualche ettaro di Roma, bensì nell’espressione di un potere totale, autocratico, che non necessita di spiegazioni o giustificazioni. Sviati da anni di melassa mediatica che ha costruito il santino di Francesco riducendolo a un sorta di peluche consolatorio per i momenti d’afflizione, non si è colto in tutta la sua importanza lo spirito militare del gesuita argentino eletto da cento e passa suoi confratelli Pontefice della Chiesa cattolica nonché vicario di Cristo in terra. Anni di cuori commossi per i cordiali “buonasera” e i “buon pranzo” a chiosa degli Angelus e/o Regina Coeli domenicali hanno messo nell’ombra lo stile di governo di Jorge Mario Bergoglio, ottocentesco più che moderno o post moderno come si suol dire oggi.
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