Il Papa in Iraq tra le macerie di Qaraqosh e la festa di Erbil
"Questo nostro incontro dimostra che il terrorismo e la morte non hanno mai l'ultima parola", ha detto il Pontefice salutando la comunità cristiana della Piana di Ninive
L'ingresso nella cattedrale vandalizzata dai miliziani jihadisti, la preghiera tra le rovine di Mosul, la messa allo stadio. Cronaca dell'ultima giornata di Francesco in Mesopotamia
Roma. Mosul, Qaraqosh, Erbil. Il terzo e ultimo giorno del viaggio apostolico del Papa Iraq (domani mattina la partenza alla volta di Roma) è quello più intenso, culmine del pellegrinaggio nelle terre del martirio contemporaneo. Presso Hosh al Bieaa a Mosul, Francesco ricorda “lo sfollamento forzato di molte famiglie cristiane dalle loro case. Il tragico ridursi dei discepoli di Cristo – ha aggiunto –, qui e in tutto il medio oriente, è un danno incalcolabile non solo per le persone e le comunità interessate, ma per la stessa società che si lasciano alle spalle. In effetti, un tessuto culturale e religioso così ricco di diversità è indebolito dalla perdita di uno qualsiasi dei suoi membri, per quanto piccolo. Come in uno dei vostri tappeti artistici, un piccolo filo strappato può danneggiare l’insieme”.
“Qui a Mosul– ha proseguito il Papa – le tragiche conseguenze della guerra e delle ostilità sono fin troppo evidenti. Com’è crudele che questo paese, culla di civiltà, sia stato colpito da una tempesta così disumana, con antichi luoghi di culto distrutti e migliaia e migliaia di persone – musulmani, cristiani, gli yazidi, che sono stati annientati crudelmente dal terrorismo, e altri – sfollati con la forza o uccisi!”. Tuttavia, confortato anche dalle due testimonianze che lo avevano preceduto, relative alla convivenza possibile in quelle terre tra famiglie appartenenti a religioni diverse, Francesco ha detto di voler riaffermare “la nostra convinzione che la fraternità è più forte del fratricidio, che la speranza è più forte della morte, che la pace è più forte della guerra. Questa convinzione parla con voce più eloquente di quella dell’odio e della violenza; e mai potrà essere soffocata nel sangue versato da coloro che pervertono il nome di Dio percorrendo strade di distruzione”.
Un’ora più tardi, il Pontefice faceva il proprio ingresso nella cattedrale dell’Immacolata concezione, a Qaraqosh, la città che fino a pochi anni fa era abitata dalla più numerosa comunità cristiana della regione. Dal 2014 al 2016 quella chiesa era stata trasformata in poligono di tiro. Il tabernacolo devastato, i banchi accatastati, la statua della Vergine decapitata e le immagini dei santi sfregiate. Il campanile per metà abbattuto. Oggi, tra due ali di cristiani festanti, entrava il Papa. “Con grande tristezza, ci guardiamo attorno e vediamo altri segni, i segni del potere distruttivo della violenza, dell’odio e della guerra. Quante cose sono state distrutte! E quanto dev’essere ricostruito! Questo nostro incontro dimostra che il terrorismo e la morte non hanno mai l’ultima parola. L’ultima parola appartiene a Dio e al suo Figlio, vincitore del peccato e della morte. Anche in mezzo alle devastazioni del terrorismo e della guerra, possiamo vedere, con gli occhi della fede, il trionfo della vita sulla morte. Avete davanti a voi l’esempio dei vostri padri e delle vostre madri nella fede, che hanno adorato e lodato Dio in questo luogo. Hanno perseverato con ferma speranza nel loro cammino terreno, confidando in Dio che non delude mai e che sempre ci sostiene con la sua grazia. La grande eredità spirituale che ci hanno lasciato continua a vivere in voi”.
Infine, prima dell’Angelus, l’immagine della statua vandalizzata: “Mentre arrivavo con l’elicottero, ho visto la statua della Vergine Maria su questa chiesa dell’Immacolata Concezione, e ho affidato a lei la rinascita di questa città. La Madonna non solo ci protegge dall’alto, ma con tenerezza materna scende verso di noi. La sua effigie qui è stata persino ferita e calpestata, ma il volto della Madre di Dio continua a guardarci con tenerezza. Perché così fanno le madri: consolano, confortano, danno vita”.
Nel pomeriggio la messa celebrata allo stadio di Erbil prima del ritorno a Baghdad. Al termine, il saluto: “Ora, si avvicina il momento di ripartire per Roma. Ma l’Iraq rimarrà sempre con me, nel mio cuore. Chiedo a tutti voi, cari fratelli e sorelle, di lavorare insieme in unità per un futuro di pace e prosperità̀ che non lasci indietro nessuno e non discrimini nessuno. Vi assicuro le mie preghiere per questo amato paese. In modo particolare, prego che i membri delle varie comunità religiose, insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, cooperino per stringere legami di fraternità e solidarietà al servizio del bene comune e della pace. Salam, salam, salam! Shukrán! [Grazie] Dio vi benedica tutti! Dio benedica l’Iraq! Allah ma’akum!”.
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