La posizione del Vaticano sulle coppie gay avvicina lo scisma
Mezza Europa insorge contro il no di Roma alla benedizione delle coppie omosessuali. In Germania le diocesi diventano "arcobaleno"
La questione, più che ecclesiale, è politica: si voleva il timbro, il sigillo della Chiesa, una svolta per aggiornarla anche in questo caso ai fatidici tempi correnti. Vescovi ribelli e parroci pronti alla disobbedienza
Sabato la diocesi tedesca di Limburgo ha aggiornato il logo del proprio profilo su Facebook con un bell’arcobaleno e l’hashtag #LoveIsNoSin, l’amore non è peccato. Rivolta dichiarata contro il responsum dato dalla congregazione per la Dottrina della fede sulla possibilità di benedire le coppie formate da persone dello stesso sesso. Risposta, peraltro, avallata dal Papa come messo nero su bianco nella Nota esplicativa. La provocazione di Limburgo è un pessimo segnale sul fronte dei già tesi rapporti tra la Conferenza episcopale tedesca e Roma, considerato che il vescovo di Limburgo è mons. Georg Bätzing, numero uno dei vescovi di Germania. Il vescovo di Essen, mons. Franz-Josef Overbeck, ha scritto una lettera a tutti i parroci della diocesi di Essen spiegando di essere contrario a quanto deciso dalla curia romana. Una posizione, quella del responsum, “non più accettata dal mondo di oggi” e il Vaticano “non può ignorare quel che pensano i fedeli sul tema”. In Austria, 350 sacerdoti hanno firmato un documento in cui chiariscono che continueranno a benedire le coppie omosessuali, checché ne dica Roma. Analoga ribellione è già stata annunciata dalle diocesi svizzere di Basilea e San Gallo. In Belgio si è fatta sentire la voce di mons. Johan Bonny, arcivescovo di Anversa: “Provo una vergogna indiretta per la mia Chiesa e provo soprattutto incomprensione intellettuale e morale. Vorrei chiedere scusa a tutti coloro per i quali questo responsum è doloroso e incomprensibile: coppie gay fedeli e cattoliche impegnate, genitori e nonni di coppie gay e loro figli, operatori pastorali e consiglieri di coppie gay. Il loro dolore per la Chiesa oggi è il mio”, ha scritto in un articolo sul sito diocesano. Mons. Bonny, che è stato a un passo dal diventare anni fa arcivescovo di Bruxelles, già a cavallo del doppio Sinodo sulla famiglia del 2014-2015 aveva invocato una svolta sul tema, chiedendo di “abbattere il dogma” che conferisce l’esclusività alla relazione tra uomo e donna. “Non possiamo continuare a dire che non ci sono altre forme di amore diverse dal matrimonio omosessuale. Lo stesso amore che troviamo in un uomo e una donna che vivono insieme lo troviamo in gay e lesbiche”, sosteneva il vescovo belga.
Il problema è enorme, il breve responsum ad dubium firmato dal cardinale prefetto Luis Ladaria con esplicita approvazione papale ha scoperchiato il vaso di Pandora. Lo scisma latente delle conferenze dell’Europa centrale ormai trova pochi ostacoli sulla propria strada. Nemmeno la proverbiale e antica prudenza è osservata, se è vero che la decisione vaticana è stata ridotta dal capo dei vescovi tedeschi a semplice “parere”. Il dramma è che la questione in ballo è di disarmante semplicità: a essere condannato non è il singolo, ma il peccato. Come la Chiesa ha sempre insegnato. Di più: è affermata totale vicinanza alle persone interessate. Basta leggere il documento vaticano e non è necessario neppure uno sforzo intellettuale per comprenderlo: “La Chiesa rammenta che Dio stesso non smette di benedire ciascuno dei suoi figli pellegrinanti in questo mondo, perché per Lui ‘siamo più importanti di tutti i peccati che noi possiamo fare’. Ma non benedice né può benedire il peccato: benedice l’uomo peccatore, affinché riconosca di essere parte del suo disegno d’amore e si lasci cambiare da Lui. Egli infatti ‘ci prende come siamo, ma non ci lascia mai come siamo’”.
Nulla di nuovo, insomma. Non ci sono roghi né condanne a supplizi eterni come sembrerebbe stando alle reazioni di teologi, storici, episcopati (“Rallegriamoci di ogni relazione in cui i partner si accettano come uguali”, ha detto il vescovo di San Gallo, Markus Büchel). Il chiasso che s’è levato dimostra che la questione, più che ecclesiale, è politica: si voleva il timbro, il sigillo della Chiesa, una svolta per aggiornarla anche in questo caso ai fatidici tempi correnti. Che poi le chiese che hanno più volte invocato e in qualche caso anche attuato rivoluzioni e maquillage siano quelle che stanno peggio in quanto a fervore religioso e pratica, non rileva. Il vescovo di Essen lo dice chiaramente: “La Chiesa non può ignorare quel che pensano i fedeli”, assumendo dunque la posizione di chi ritiene che la Chiesa debba buttare un occhio alla vox populi più che alla vox Dei, ai sondaggi e alle inchieste demoscopiche. Tutto diventa relativo e opinabile. Dopotutto, è stato anche detto che al tempo di Gesù “nessuno aveva un registratore per inciderne le parole. Quello che si sa è che le parole di Gesù vanno contestualizzate”.