Storia dell'obelisco Vaticano
Il Testimone dei cristiani
Un romanzo storico e la storia della nascita del cristianesimo a Roma
Un obelisco muto e misterioso (già dall'inizio, quattromila anni fa, a Eliopoli). Arrivato da Alessandria per svettare nel circo di Caligola e poi di Nerone. Tutti i fatti (veri) che ha visto. L'ultima cosa che Pietro vide, quando fu crocefisso lì, a poca distanza da dove oggi c'è la basilica. E lui, è ancora ritto in mezzo alla piazza
Si avvicina la Pasqua dei cristiani, e nel frattempo si parla molto di (quasi) scismi tedeschi. Si avvicina la Pasqua dei cristiani, che non ha città più sacra di Roma dove essere celebrata, e per capire perché bisogna sempre partire da Lutero. Che dopo aver visitato l’Urbe rassicurava gli amici che vestigia degli apostoli, lì, non ne aveva viste. Anzi, scrisse proprio che “a Roma non si sa dove siano i corpi dei santi Pietro e Paolo, o addirittura se vi siano”. Ma c’è un testimone che lo smentisce. Un testimone muto. Che stava lì dall’inizio, o per così dire esisteva dal principio della Storia. Un monolite di granito rosso, scolpito quattromila anni fa a Eliopoli in onore del dio Sole. Un obelisco strano, come segnato dal destino: senza punta, perché il granito si ruppe già allora. E muto: è l’unico su cui non siano stati scolpiti geroglifici o numeri. I romani lo portarono ad Alessandria, poi il capriccioso Caligola, che stravedeva per i cavalli, lo fece trasportare a Roma per fare da segnacolo in mezzo alla spina del suo circo privato che si stava facendo costruire ai piedi del colle Vaticano, nei giardini di Agrippina.
Dell’impresa titanica di allestire una quinquereme e curare il trasporto fu incaricato Daniele l’ebreo, giovane “silenzioso e sveglio” di Alessandria. E questa è la parte romanzesca, in pratica l’unica, della storia raccontata da Paolo Biondi in un romanzo agile e documentatissimo che si chiama, appunto, Il Testimone (Edizioni di Pagina) e che la storia dell’obelisco racconta. O per meglio dire, racconta la storia che quell’obelisco ha visto, e vede tutt’ora. Soprattutto una sua parte cruciale, quella in cui inizia un’altra storia. A Daniele piacevano i cavalli, e lui piacque a Caligola. Così dopo la consegna rimase a lavorare in quel circo fuori città, al Vaticano. Vicino al “suo” obelisco, quasi a vegliarsi a vicenda. E sotto quel monolito muto, nascosto agli occhi dei passanti, passò la storia. Lo vide Paolo, lo vide Seneca, lo vide Pietro il pescatore e rimase turbato come da un presagio. In quei giardini si rifugiò il popolo, e anche i cristiani, al tempo dell’incendio di Roma. Sulle tribune dell’ippodromo del Vaticano, il circo di Nerone, si decidevano gli intrighi e le sorti dell’impero.
Attraverso il suo narratore muto Paolo Biondi, giornalista e appassionato cultore di storia romana, cui ha già dedicato altri romanzi-storie, racconta i primi cristiani a Roma. Sulla scorta puntuale degli Atti e di un’archeologia minuziosa e affascinante. Il loro arrivo nelle comunità degli ebrei, la casa sull’Aventino, quartiere di mercanti arricchiti, dove Paolo incontrava i suoi grandi amici Aquila e Prisca, che aveva conosciuto a Corinto e che fabbricavano tende e gli davano lavoro. Le case dove si riunivano le tante, piccole comunità di cristiani, che Paolo nella Lettera ai Romani saluta uno per uno, casa per casa. E quella dove stava Pietro, che si era riciclato tessitore, al Campo Marzio, nelle vie di botteghe degli ebrei. L’ubicazione dei palazzi imperiali, la sinagoga dietro i Fori, il Ponte Emilio che conduceva dal porto e che oggi chiamiamo Rotto e il ponte di Agrippa, dove oggi c’è il Ponte Sisto, che i protagonisti grandi e piccoli del romanzo percorrono in continuazione, per infilarsi in quella via tra il Tevere e gli alberi, dietro la villa di Agrippa, per andare a “quel” luogo. Là, sotto l’obelisco. La sua ombra, la luce riflessa del sole sul suo granito, fu l’ultima cosa che vide Pietro quando fu crocefisso a testa in giù.
Quell’obelisco è ancora lì, a poche centinaia di passi dal posto in cui venne eretto duemila anni fa, in mezzo al colonnato di Bernini. Ve lo fece portare Sisto V, riuscendo nell’impresa di non farlo cadere. Perché l’obelisco del Vaticano ha anche questa, di particolarità. E’ l’unico di Roma a non essere mai stato abbattuto. Forse il caso, forse perché diventò presto un punto di orientamento per i pellegrini che andavano a venerare la tomba di Pietro, o a farsi seppellire lì intorno, il più vicino possibile a lui. E servì forse anche a Costantino per identificare il luogo dove far sorgere la prima chiesa, tre secoli dopo. Dentro una topografia nota ma sorprendente, nell’incastro dei grandi eventi e di persone appassionate, l’obelisco è il testimone di come iniziò, a Roma, quella storia semplice di uomini e donne che divenne la chiesa.
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