Papa Francesco: "Abbiamo dimenticato il primato del dono"
Il Papa e il presidente del Consiglio agli Stati generali della Natalità. Nel 2020 sono nati solo 404 mila bambini, "il numero più basso dall'Unità d'Italia e quasi il 30 per cento in meno rispetto a dieci anni fa"
"Com'è possibile che una donna debba vergognarsi per il dono più bello che la vita possa offrire?", si interroga Papa Francesco partecipando agli Stati generali della Natalità. L'Italia è nel pieno di un "inverno demografico freddo e buio": il presidente del Consiglio Mario Draghi ne ha esaminato le implicazioni socioeconomiche, il pontefice quelle morali. Sottolineando la centralità di tre elementi: sostenibilità, responsabilità e solidarietà generazionali. "A volte", accusa il Papa, "passa il messaggio che realizzarsi significhi fare soldi e successo, mentre i figli sembrano quasi un diversivo, che non deve ostacolare le proprie aspirazioni personali. Questa mentalità è una cancrena per la società e rende insostenibile il futuro".
Il discorso integrale di Papa Francesco
Cari fratelli e sorelle,
vi saluto cordialmente e sono grato al Presidente del Forum delle associazioni familiari Gianluigi De Palo per l’invito e per le sue parole di introduzione. Ringrazio il Dottor Mario Draghi, Presidente del Governo, per le sue parole chiare e speranzose. Ringrazio tutti voi, che oggi riflettete sul tema urgente della natalità, basilare per invertire la tendenza e rimettere in moto l’Italia a partire dalla vita, a partire dall’essere umano. Ed è bello che lo facciate insieme, coinvolgendo le imprese, le banche, la cultura, i media, lo sport e lo spettacolo. In realtà ci sono molte altre persone qui con voi: ci sono soprattutto i giovani che sognano. I dati dicono che la maggior parte dei giovani desidera avere figli. Ma i loro sogni di vita, germogli di rinascita del Paese, si scontrano con un inverno demografico ancora freddo e buio: solo la metà dei giovani crede di riuscire ad avere due figli nel corso della vita.
L’Italia si trova così da anni con il numero più basso di nascite in Europa, in quello che sta diventando il vecchio Continente non più per la sua gloriosa storia, ma per la sua età avanzata. Questo nostro Paese, dove ogni anno è come se scomparisse una città di oltre duecentomila abitanti, nel 2020 ha toccato il numero più basso di nascite dall’unità nazionale: non solo per il Covid, ma per una continua, progressiva tendenza al ribasso, un inverno sempre più rigido.
Eppure tutto ciò non sembra aver ancora attirato l’attenzione generale, focalizzata sul presente e sull’immediato. Il Presidente della Repubblica ha ribadito l’importanza della natalità, che ha definito «il punto di riferimento più critico di questa stagione», dicendo che «le famiglie non sono il tessuto connettivo dell’Italia, le famiglie sono l’Italia» (Udienza al Forum delle associazioni familiari, 11 febbraio 2020). Quante famiglie in questi mesi hanno dovuto fare gli straordinari, dividendo la casa tra lavoro e scuola, con i genitori che hanno fatto da insegnanti, tecnici informatici, operai, psicologi! E quanti sacrifici sono richiesti ai nonni, vere scialuppe di salvataggio delle famiglie! Ma non solo: sono loro la memoria che ci apre al futuro.
Perché il futuro sia buono, occorre dunque prendersi cura delle famiglie, in particolare di quelle giovani, assalite da preoccupazioni che rischiano di paralizzarne i progetti di vita. Penso allo smarrimento per l’incertezza del lavoro, penso ai timori dati dai costi sempre meno sostenibili per la crescita dei figli: sono paure che possono inghiottire il futuro, sono sabbie mobili che possono far sprofondare una società. Penso anche, con tristezza, alle donne che sul lavoro vengono scoraggiate ad avere figli o devono nascondere la pancia. Com’è possibile che una donna debba provare vergogna per il dono più bello che la vita può offrire? Non la donna, ma la società deve vergognarsi, perché una società che non accoglie la vita smette di vivere. I figli sono la speranza che fa rinascere un popolo! Finalmente in Italia si è deciso di trasformare in legge un assegno, definito unico e universale, per ogni figlio che nasce. Esprimo apprezzamento alle autorità e auspico che questo assegno venga incontro ai bisogni concreti delle famiglie, che tanti sacrifici hanno fatto e stanno facendo, e segni l’avvio di riforme sociali che mettano al centro i figli e le famiglie. Se le famiglie non sono al centro del presente, non ci sarà futuro; ma se le famiglie ripartono, tutto riparte.
Vorrei ora guardare proprio alla ripartenza e offrirvi tre pensieri che spero utili in vista di un’auspicata primavera, che ci risollevi dall’inverno demografico. Il primo pensiero verte attorno alla parola dono. Ogni dono si riceve, e la vita è il primo dono che ciascuno ha ricevuto. Nessuno può darselo da solo. Prima di tutto c’è stato un dono. È un prima che nel corso della vita scordiamo, sempre intenti a guardare al dopo, a quello che possiamo fare e avere. Ma anzitutto abbiamo ricevuto un dono e siamo chiamati a tramandarlo. E un figlio è il dono più grande per tutti e viene prima di tutto. A un figlio, a ogni figlio si lega questa parola: prima. Come un figlio viene atteso e viene amato prima che venga alla luce, così dobbiamo mettere prima i figli se vogliamo rivedere la luce dopo il lungo inverno. Invece «la mancanza di figli, che provoca un invecchiamento della popolazione, afferma implicitamente che tutto finisce con noi, che contano solo i nostri interessi individuali» (Lett enc. Fratelli tutti, 19). Abbiamo dimenticato il primato del dono – il primato del dono! –, codice sorgente del vivere comune. È avvenuto soprattutto nelle società più agiate, più consumiste. Vediamo infatti che dove ci sono più cose, spesso c’è più indifferenza e meno solidarietà, più chiusura e meno generosità. Aiutiamoci a non perderci nelle cose della vita, per ritrovare la vita come senso di tutte le cose.
Aiutiamoci, cari amici, a ritrovare il coraggio di donare, il coraggio di scegliere la vita. C’è una frase del Vangelo che può aiutare chiunque, anche chi non crede, a orientare le proprie scelte. Gesù dice: «Dov’è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21). Dov’è il nostro tesoro, il tesoro della nostra società? Nei figli o nelle finanze? Che cosa ci attrae, la famiglia o il fatturato? Ci dev’essere il coraggio di scegliere che cosa viene prima, perché lì si legherà il cuore. Il coraggio di scegliere la vita è creativo, perché non accumula o moltiplica quello che già esiste, ma si apre alla novità, alle sorprese: ogni vita umana è la vera novità, che non conosce un prima e un dopo nella storia. Noi tutti abbiamo ricevuto questo dono irripetibile e i talenti che abbiamo servono a tramandare, di generazione in generazione, il primo dono di Dio, il dono della vita.
A questo tramandare si collega il secondo pensiero che vorrei offrirvi. Ruota attorno alla parola sostenibilità, parola-chiave per costruire un mondo migliore. Si parla spesso di sostenibilità economica, tecnologica e ambientale e così via. Ma occorre parlare anche di sostenibilità generazionale. Non saremo in grado di alimentare la produzione e di custodire l’ambiente se non saremo attenti alle famiglie e ai figli. La crescita sostenibile passa da qui. La storia lo insegna. Durante le fasi di ricostruzione seguite alle guerre, che nei secoli scorsi hanno devastato l’Europa e il mondo, non c’è stata ripartenza senza un’esplosione di nascite, senza la capacità di infondere fiducia e speranza alle giovani generazioni. Anche oggi ci troviamo in una situazione di ripartenza, tanto difficile quanto gravida di attese: non possiamo seguire modelli miopi di crescita, come se per preparare il domani servisse solo qualche frettoloso aggiustamento. No, le cifre drammatiche delle nascite e quelle spaventose della pandemia chiedono cambiamento e responsabilità.
Sostenibilità fa rima con responsabilità: è il tempo della responsabilità per far fiorire la società. Qui, oltre al ruolo primario della famiglia, è fondamentale la scuola. Non può essere una fabbrica di nozioni da riversare sugli individui; dev’essere il tempo privilegiato per l’incontro e la crescita umana. A scuola non si matura solo attraverso i voti, ma attraverso i volti che si incontrano. E per i giovani è essenziale venire a contatto con modelli alti, che formino i cuori oltre che le menti. Nell’educazione l’esempio fa molto, penso anche agli ambiti dello spettacolo e dello sport. È triste vedere modelli a cui importa solo apparire, sempre belli, giovani e in forma. I giovani non crescono grazie ai fuochi d’artificio dell’apparenza, maturano se attratti da chi ha il coraggio di inseguire sogni grandi, di sacrificarsi per gli altri, di fare del bene al mondo in cui viviamo. E mantenersi giovani non viene dal farsi selfie e ritocchi, ma dal potersi specchiare un giorno negli occhi dei propri figli. A volte, invece, passa il messaggio che realizzarsi significhi fare soldi e successo, mentre i figli sembrano quasi un diversivo, che non deve ostacolare le proprie aspirazioni personali. Questa mentalità è una cancrena per la società e rende insostenibile il futuro.
La sostenibilità ha bisogno di un’anima e quest’anima – la terza parola che vi propongo – è la solidarietà. Anche ad essa associo un aggettivo: come c’è bisogno di una sostenibilità generazionale, così occorre una solidarietà strutturale. La solidarietà spontanea e generosa di molti ha permesso a tante famiglie, in questo periodo duro, di andare avanti e di far fronte alla crescente povertà. Tuttavia non si può restare nell’ambito dell’emergenza e del provvisorio, è necessario dare stabilità alle strutture di sostegno alle famiglie e di aiuto alle nascite. Sono indispensabili una politica, un’economia, un’informazione e una cultura che promuovano coraggiosamente la natalità.
In primo luogo occorrono politiche familiari di ampio respiro, lungimiranti: non basate sulla ricerca del consenso immediato, ma sulla crescita del bene comune a lungo termine. Qui sta la differenza tra il gestire la cosa pubblica e l’essere buoni politici. Urge offrire ai giovani garanzie di un impiego sufficientemente stabile, sicurezze per la casa, attrattive per non lasciare il Paese. È un compito che riguarda da vicino anche il mondo dell’economia: come sarebbe bello veder crescere il numero di imprenditori e aziende che, oltre a produrre utili, promuovano vite, che siano attenti a non sfruttare mai le persone con condizioni e orari insostenibili, che giungano a distribuire parte dei ricavi ai lavoratori, nell’ottica di contribuire a uno sviluppo impagabile, quello delle famiglie! È una sfida non solo per l’Italia, ma per tanti Paesi, spesso ricchi di risorse, ma poveri di speranza.
La solidarietà va declinata anche nell’ambito del prezioso servizio dell’informazione, che tanto incide sulla vita e su come la si racconta. Vanno di moda colpi di scena e parole forti, ma il criterio per formare informando non è l’audience, non è la polemica, è la crescita umana. Serve “un’informazione formato-famiglia”, dove si parli degli altri con rispetto e delicatezza, come se fossero propri parenti. E che al tempo stesso porti alla luce gli interessi e le trame che danneggiano il bene comune, le manovre che girano attorno al denaro, sacrificando le famiglie e le persone. La solidarietà convoca poi i mondi della cultura, dello sport e dello spettacolo a promuovere e valorizzare la natalità. La cultura del futuro non può basarsi sull’individuo e sul mero soddisfacimento dei suoi diritti e bisogni. Urge una cultura che coltivi la chimica dell’insieme, la bellezza del dono, il valore del sacrificio.
Cari amici, vorrei infine dirvi la parola più semplice e sincera: grazie. Grazie per gli Stati Generali della natalità, grazie a ciascuno di voi e a quanti credono nella vita umana e nell’avvenire. A volte vi sembrerà di gridare nel deserto, di lottare contro i mulini a vento. Ma andate avanti, non arrendetevi, perché è bello sognare, sognare il bene e costruire il futuro. E senza natalità non c’è futuro. Grazie.