Vescovi divisi sulla messa in latino. Qualcuno vieta le tovaglie di lino sull'altare: "Antiche"
Se davvero l'obiettivo del motu proprio "Traditionis custodes" era quello di favorire l'unità della Chiesa, dopo tre giorni si può affermare che il risultato è l'opposto
Due erano le strade che si ponevano davanti al Papa: dialogare e tentare di ricucire o imporre manu militari una dichiarazione di fedeltà. A differenza di quel che accadeva un tempo, si è scelta la seconda via. Con tutto quel che ne conseguirà
Se davvero l’obiettivo del motu proprio Traditionis custodes era quello di favorire l’unità della Chiesa, dopo tre giorni si può affermare che il risultato è l’opposto. Come prevedibile, del resto. Anche perché l’adesione al Concilio Vaticano II imposta per decreto ai diffidenti non può funzionare. Tre giorni in cui, legittimamente e stando all’articolato del motu proprio papale, i vescovi di tutto il globo hanno comunicato via Twitter se nelle rispettive diocesi sarebbe cambiato qualcosa o no. Così, se gli ultraconservatori hanno subito chiarito che a casa loro il Summorum Pontificum resta in vigore tale e quale e con tutti i permessi del caso, il liberal vescovo di Mayagüez (Porto Rico) non solo ha vietato da subito le messe in latino ma – facendosi prendere la mano – ha pure proibito pianete, dalmatiche, berrette e tutto il corredo per così dire antico che però nessuno si è sognato di consegnare ai musei. Tantomeno il Papa. Il cardinale Robert Sarah, non proprio un parvenu, visto che fino a pochi mesi fa era prefetto del Culto divino e della disciplina dei sacramenti, ha twittato minaccioso che il 7 luglio del 2007 Benedetto XVI aveva detto che “ciò che le generazioni precedenti ritenevano sacro, rimane sacro e grande anche per noi, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o addirittura considerato dannoso”. Allora, che si fa? Resta sacro o è da relegare ai libri di storia? Che può pensare il povero fedele?
A ogni modo, quel che deriva non è esattamente l’immagine di quell’unità tanto invocata da Francesco e da chi materialmente ha steso il documento che non brilla certo per spirito dialogante. Tutt’altro. Scorrendo le disposizioni previste, è lecita la domanda: davvero si cerca l’unità? Per quale motivo viene impedito l’uso delle chiese parrocchiali ai fedeli al rito previsto da Benedetto XVI, quando le stesse chiese parrocchiali sono concesse anche a eventi che di liturgico o spirituale hanno poco o nulla a che fare, tra concerti, recital, conferenze, dibattiti e perfino preghiere di qualche imam? E a chi vuole pregare secondo il rito di Pio V, no? Come previsto, la galassia tradizionalista è in fermento, c’è chi invoca una sorta di guerra santa contro il Vaticano, chi giura che si rifugerà dai lefebvriani di Ecône, chi si autodefinisce martire e assicura comunque preghiere per il Pontefice regnante. Il problema è, ancora una volta, il Vaticano II: è vero che in alcune realtà – soprattutto americane – dietro al paravento della messa in vetus ordo si nascondono sedevacantisti, anticonciliaristi e settari. Altrettanto vero, però, è che non è così in tutto il mondo. Due erano le strade che si ponevano davanti al Papa: dialogare e tentare di ricucire o imporre manu militari una dichiarazione di fedeltà. A differenza di quel che accadeva un tempo, si è scelta la seconda via. Con tutto quel che ne conseguirà.
Forse, è la lettura alternativa, si è cercata chiarezza. Non è più tempo di trattative e tentennamenti: si obbedisce. I fedeli al rito antico sono di fatto emarginati in nome dell’opera di bonifica dei settori non allineati e – in qualche caso – oppositori interni alla Chiesa conciliare. E’ arduo ritenere che un provvedimento come quello pubblicato venerdì riporterà il sereno in una Chiesa che apre nuovi fronti un giorno sì e l’altro pure: il Sinodo tedesco, i muri statunitensi, la Cina, i processi con i cardinali indagati. Ci mancava solo la messa in latino.
Editoriali
Mancavano giusto le lodi papali all'Iran
l'anticipazione