Altro che Vatileaks, siamo entrati nell'èra del ricatto perenne alla Chiesa

Matteo Matzuzzi

Spiare lo smartphone di un monsignore per farlo dimettere. Il metodo usato contro Jeffrey Burrill, il segretario generale della Conferenza episcopale americana, pone diversi interrogativi

Il segretario generale della Conferenza episcopale americana, mons. Jeffrey Burrill, si è dimesso per “comportamenti impropri”, recita lo stringato comunicato firmato dal presidente José Horacio Gómez, arcivescovo di Los Angeles. Non una parola di più da parte del leader dei vescovi statunitensi, salvo chiarire – e in tempi come questi è doveroso farlo – “che quanto ci è stato riferito non comprende abusi su minori”.

 

Chi invece ha raccontato quel che è accaduto, senza soprassedere sui particolari, è il sito The Pillar, vantandosi di aver portato di fatto alla caduta di Burrill, considerato fino a ieri un abile tessitore tra i fronti che da sempre separano la chiesa d’oltreoceano, i conservatori da una parte e i liberal dall’altra. “Un’analisi dei dati relativi al portatile di Burrill mostra che il sacerdote ha visitato bar gay e residenze private usando un’app di incontri in diverse città dal 2018 al 2020, anche durante viaggi per conto del suo incarico in seno alla Conferenza episcopale”.

 

Ma chi ha fornito questi dati a The Pillar? Scrive il sito che i dati sono “disponibili commercialmente” e sono stati ottenuti “da un fornitore di dati e autenticati da una società di consulenza dati indipendente incaricata da The Pillar”. Documentati, dunque, tutti i momenti privati e “impropri” del monsignore tra il 2018 e il 2020, per un totale complessivo di 26 settimane. Fatale è stato l’uso dell’app Grindr, usata appunto per fissare incontri omosessuali.

     
Detto che il comportamento del monsignore è inappropriato, considerato che il voto di castità risulta essere ancora in vigore, il metodo usato per eliminare il segretario generale della Conferenza episcopale pone diversi interrogativi, soprattutto perché l’operazione (che si inserisce nella guerra civile in corso nella chiesa americana) viene fatta passare come “inchiesta giornalistica” resa possibile, però, dal tracciamento dei dati privati dello smartphone di mons. Burrill.

 

È un’arma pericolosissima, che può essere usata contro chiunque: uno spionaggio in piena regola, protratto per anni e al momento opportuno – quando cioè serve far esplodere il caso e togliere di mezzo un personaggio poco gradito  – tradotto in longform da pubblicare su qualche sito o giornale. The Pillar, poi, dice e non dice, scrivendo en passant che  “non ci sono prove che suggeriscano che Burrill fosse in contatto con minori attraverso il suo uso di Grindr. Ma qualsiasi uso dell’app da parte del sacerdote potrebbe essere visto come un conflitto con il suo ruolo nello sviluppo e nella supervisione delle politiche nazionali di protezione dell’infanzia”. E perché?

  
Una pistola alla tempia, insomma, senza sapere quando il grilletto sarà premuto. Altro che Vatileaks con i suoi corvi svolazzanti sul Cupolone e i documenti trafugati dalla scrivania personale del Papa: il salto di qualità, qui, c’è tutto. E’ il ricatto perenne, capace di tenere sotto scacco oggi una Conferenza episcopale nazionale (che tra l’altro a novembre renderà pubblico il documento sull’eucaristia, seppure con toni più sfumati rispetto a quanto avrebbe voluto l’ala più intransigente, desiderosa di inserire espliciti riferimenti ai leader politici cattolici pro choice) e domani, chissà, magari la curia romana. Con le agende riservate di cardinali e habitué di Santa Marta rese noti ai frequentatori dei social network o ai lettori di qualche giornale.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.