L'INTERVENTO

Il mondo sarà post cristiano se diventerà post umano

Eugenia Roccella

Bisogna inserirsi nei guasti della nuova antropologia e cercare di far capire quello che sta accadendo. Far capire che senza Cristo anche l’istanza morale difficilmente reggerà, sostituita da un politicamente corretto insensato e odioso. I fortini della fede non producono minoranze creative, ma solo sette spaventate

"Cadono uno dopo l’altro i bastioni che la fede occupava nella società”, scrive Matteo Matzuzzi sul Foglio del 3 ottobre, e i cristiani sono davanti a un bivio: “resistere chiusi nel fortino o sfidare la triste realtà”, opzioni contrastanti rappresentate dai due autori citati, Dreher e Candiard.

 

Il cambiamento è avvenuto con una velocità impensabile. Il “non possiamo non dirci cristiani” di Croce nasceva da una cultura umanista tutta impregnata di cristianesimo, anche quando laica e anticlericale. La novità che ha travolto la fede e stravolto l’uomo è la galoppante irruzione della nuova antropologia. La cosiddetta questione antropologica, che la Chiesa, in particolare con Benedetto XVI e in Italia con il cardinale Ruini, ha insistito a spiegare ed elaborare, non è mai stata davvero capita dai politici e nemmeno, in fondo, dal popolo dei credenti. La trasformazione della condizione umana è stata incasellata dentro lo schema facilmente comprensibile e accattivante dei nuovi diritti. Lo scontro sui temi dei fondamenti dell’umano è stato dipinto come un conflitto tra chi voleva nuove libertà e chi, con ostinazione arcigna, quelle libertà voleva reprimere. Ma, se la condizione umana resta identica a se stessa, inventare nuove libertà non è facile; il confine è nei limiti che ci sono assegnati dal nostro essere persone che nascono, generano, muoiono sempre allo stesso modo, con gli stessi bisogni e le stesse fragilità. 

 

La rivoluzione antropologica porta con sé la cancellazione dell’idea di limite, seguendo le nuove possibilità biotecnologiche e disegnando su di esse la nuova umanità, con conseguenze che già cominciamo a vedere. Cambiano i desideri, le aspirazioni, i progetti di vita, l’idea di realizzazione personale. Cambia, in una parola, il cuore dell’uomo. La felicità si pone come obiettivo strettamente individuale, che non tollera condizionamenti e punta sui consumi (di beni, esperienze, rapporti) più che sulle relazioni. Tutto quello che limita la piccola espansione narcisista dell’io nel mondo in cui si specchia è considerato oppressivo e intollerabile. 

 

Dreher, auspicando la creazione di roccaforti della memoria, dimentica che nessuno può essere immune dalla cultura che permea il proprio tempo, e che gli ambienti cristiani, anche quelli più conservatori,  sono già toccati dal cambiamento. Lo abbiamo visto, e lo vediamo, con la pandemia: la fortuna delle opinioni contro vaccini e green pass tra i credenti è sorprendente, con motivazioni identiche a quelle dei radicali sull’eutanasia: “Il corpo è mio e lo gestisco io”, “Lo stato non può imporre se e come curarmi” “Decido io se vivere o morire”. Carità e amore per il prossimo stanno cedendo il passo all’individualismo e al concetto di autodeterminazione (assai diverso da quello di libertà), che è il perno etico dei nuovi diritti.


Si pensava che nulla potesse cambiare l’uomo, i suoi bisogni spirituali, la necessità di mantenere uno sguardo verso l’alto, ma questo accadeva perché la condizione umana è stata, per secoli, immutabile. Oggi la trasformazione è iniziata, mettendo in crisi la solidarietà. Questo la sinistra dei buoni sentimenti e del politicamente corretto si rifiuta di vederlo, mentre la destra, quando ancora si impegna in battaglie antropologiche, manca di vera consapevolezza.


Negli anni passati solo la Chiesa ha elaborato un pensiero, ha cercato di agire, in Italia con qualche successo, tentando di operare per conservare quella che papa Wojtyla definiva l’eccezione italiana. Ma quella eccezione, scambiata per anomalia, è stata spensieratamente distrutta in poco tempo, e nel nuovo contesto lo scontro frontale è impari e perdente. Che fare? La tentazione di urlare alla luna è forte, ed è quello che sta accadendo: i credenti non ambiscono più ad avere una vera interlocuzione con la politica, le istituzioni, l’opinione pubblica, ma si accontentano di non disturbare, oppure all’opposto di alzare grida che lasciano il mondo non solo indifferente, ma convinto che si tratti di minoranze esagitate che devono tornare, se non nelle fogne, nelle catacombe. Il mondo non è devastato dal paganesimo o dai barbari, ma da una mutazione genetica, una sorta di ultracorpi che penetrano in tutti noi. Vivere senza menzogna, come chiedeva Solgenitsin, citato da Dreher, è giusto quando la verità è impedita dalla repressione e dalla forza. Oggi il cambiamento non passa dalla paura o dall’opportunismo, ma dalla convinzione, dall’adesione spontanea. Ripiegare su se stessi produce non minoranze creative, ma piccole sette spaventate, che rinunciano a indagare e capire il mondo che li circonda. Circoli chiusi, asfittici, incapaci di frenare l’emorragia di fedeli e di spiegare le proprie ragioni. 


Bisogna invece inserirsi nei guasti della nuova antropologia e cercare di far capire quello che sta accadendo. Far capire che senza Cristo anche l’istanza morale difficilmente reggerà, sostituita da un politicamente corretto insensato e odioso. Non possiamo non dirci cristiani perché siamo umani: il mondo sarà post cristiano se diventerà post umano. 

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