il foglio
La madonna dei No vax
La battaglia lacerante tra i cattolici su vaccino e green pass. Una bolgia dove trovano posto scientisti e fanatici
A Trieste, in una delle varie manifestazioni no vax-no pass che hanno segnato questo movimentato ottobre, un contestatore brandiva un cartello con l’effigie del povero san Pio da Pietrelcina sorridente e benedicente. Altrove, una signora urlava contro un innocuo gazebo deputato ai tamponi tenendo in mano un rosario. Non si contano più, da tanti che sono, i preti che dal pulpito domenicale si scagliano non solo contro il certificato ma anche contro il vaccino, con argomentazioni che variano dalla teologia alla storia per tramutarsi in claudicanti dissertazioni mediche derivanti da indefesso studio notturno su qualche profilo facebook. Al di là dell’ironia, resta il fatto che i cattolici sono divisi, magari non spaccati a metà come una mela, ma insomma: una buona parte rifiuta i vaccini, chi per legittima e umana paura, chi vedendo nel siero un’ombra demoniaca, chi ancora più sottilmente ricordando che forse sono fatti anche usando cellule di embrioni abortiti qualche decennio fa. Una frattura drammatica che si alimenta quotidianamente sui social network, in un flusso continuo di fake news e citazioni bibliche, insulti e preghiere alla Madonna o al santo locale affinché tolga di mezzo il green pass. Lo Spirito del tempo è anche questo.
Non aiuta di certo la chiamata alle armi dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò che, dal suo rifugio segreto e vestito dell’abito proprio con croce pettorale in bella mostra, aizza nel nome della Santissima Trinità le folle a lottare contro il complotto mondiale che sfrutterebbe la pandemia per i propri sporchi fini (“il Great Reset che nessuno di noi vuole, che nessuno ci ha mai chiesto di votare, che concentra il potere e le ricchezze nelle mani di un’élite, quella dei ‘filantrocapitalisti’ come Gates e Soros, e che considera il resto dell’umanità come un serbatoio di schiavi e clienti”, ha detto prima che iniziasse la marcia romana verso la sede della Cgil).
Al di là di questo canovaccio perfetto per una serie televisiva a sfondo apocalittico, il problema c’è ed è serio. Parte di quella nobile galassia che un tempo era definita pro life si è ritrovata in piazza non più a chiedere lo stop ad aborti e pratiche eutanasiche, bensì a vaccini e certificazioni verdi. Con l’unico risultato di finire schiacciata su posizioni settarie al limite della paranoia e del ridicolo, come dimostra ancora mons. Viganò che, sempre in occasione del raduno del 9 ottobre, s’era scagliato contro “l’assurdità di considerare mortale un virus curabile che non ha fatto più morti di quelli degli scorsi anni” e “l’assurdità di portare mascherine che non solo non servono a nulla – per stessa ammissione degli ‘esperti’ – ma che al contrario provocano malattie polmonari gravi e patologie cerebrali”. Insomma, quelli secondo cui il Covid è una forte influenza e nulla di più al confronto sono da short list per il Nobel.
Un quadro serio, se è vero che nel corso dell’evento promosso la scorsa settimana da Voice of the family in collaborazione con l’Associazione Famiglia Domani, lo storico Roberto De Mattei, non certo accusabile di fedeltà scientista, ha detto che quella no vax “è una realtà fluida in cui è difficile cogliere una sostanza positiva” e il rischio per quei contestatori è “di perdere lo spirito soprannaturale e di trasformarsi in agitatori sociali”. Ecco il punto: la trasposizione italiana dei gilet gialli francesi, con i loro raduni poco pacifici nei fine settimana parigini, sarebbero proprio i cattolici no vax, preda ormai della battaglia da fine del mondo che arriva in non poche circostanze a negare anche la gravità della pandemia. Eppure, basterebbe prestare ascolto a personalità come il cardinale Wim Eijk, arcivescovo di Utrecht, medico e pure teologicamente classificato tra i cosiddetti conservatori. Allo stesso convegno di Voice of the family, il porporato olandese ha osservato che “vaccinarsi è un atto morale buono, sia dal punto di vista del Bene comune sia da quello del nostro obbligo personale di proteggere la propria vita”. Quanto a presunti problemi etici, Eijk ha osservato che anche l’industria farmaceutica contribuisce, producendo oppioidi, alla possibilità di tossicodipendenza. Ma ciò non toglie che questi farmaci siano necessari all’assistenza sanitaria. Lapalissiano.
Ma queste normali e naturali osservazioni oggi sono ridicolizzate (quando va bene) o attaccate, e così anche Eijk – ieri uno dei santi del pantheon ultraconservatore – diventa un pericoloso progressista intento a organizzare il Reset e piani di depopolamento del pianeta. Ha scritto Antonio Socci che “oggi non abbiamo uno sbandamento a sinistra, ma a destra. E non si tratta di intellettuali, ma perlopiù di cattolici di base, militanti, che si dicono ortodossi, fedeli alla tradizione e alla Chiesa, che però accusano la Chiesa di aver ceduto sulla liceità del vaccino e del green pass”. Non si accorgono di abbracciare, aggiunge, “quell’ideologia individualista che è alla base della cultura radicale e libertaria che avversano su altri temi (come l’eutanasia e l’aborto)”. Non basta neppure la Nota della congregazione per la Dottrina della fede che dieci mesi fa ha chiarito che “è moralmente accettabile utilizzare i vaccini anti Covid-19 che hanno usato linee cellulari provenienti da feti abortiti nel loro processo di ricerca e produzione. La ragione fondamentale per considerare moralmente lecito l’uso di questi vaccini è che il tipo di cooperazione al male (cooperazione materiale passiva) dell’aborto procurato da cui provengono le medesime linee cellulari, da parte di chi utilizza i vaccini che ne derivano, è remota. Il dovere morale di evitare tale cooperazione materiale passiva non è vincolante se vi è un grave pericolo, come la diffusione, altrimenti incontenibile, di un agente patogeno grave: in questo caso, la diffusione pandemica del virus Sars-CoV-2 che causa il Covid-19”. Niente da fare, non va bene neanche il pronunciamento dell’ex Sant’Uffizio, un tempo solido bastione contro eresie e deviazioni dalla corretta linea.
E’ una battaglia non meramente italiana, sia chiaro: oltrepassa i confini e va anche al di là dell’oceano. Ad agosto, negli Stati Uniti dove i diffidenti verso il siero sono parecchi, l’arcivescovo di Chicago, il cardinale Blase Cupich, ha imposto l’obbligo vaccinale per tutto il clero e i dipendenti laici della diocesi. Il cardinale è andato oltre, perché ha stabilito che chi è contrario “non è in linea con la morale e la fede cattolica”. Questione delicata, se è vero che extra ecclesia nulla salus. Arrivare a collegare l’appartenenza alla Chiesa cattolica – addirittura parlando di fede – con il siero, non è cosa da poco. Di certo, non rasserena gli animi. Non è dunque tempo di tendere mani e di costruire ponti; almeno non lo è sul fronte della lotta al virus.
E’ evidente l’irrigidimento su entrambi i fronti: da una parte i complottisti che s’improvvisano medici rianimatori per negare i pericoli dell’infezione da Covid, dall’altra chi vede nel vaccino l’unica via di salvezza per l’uomo e il pianeta. Altri presuli, sempre in America, hanno invece espresso più d’un dubbio “morale”, magari distinguendo tra vaccino e vaccino, andando a guardarne la composizione chimica, benedicendo l’uno e maledicendo l’altro.
E’ il pericolo della semplificazione e neppure la Chiesa ne è rimasta immune. Anziché fare opera di persuasione tra gli scettici, che non sono tutti ascrivibili alle categorie fanatiche e più esagitate, si è quasi divinizzato il siero e pure il certificato: un paio di settimane fa il quotidiano della Conferenza episcopale italiana, Avvenire, forse a mo’ di provocazione e traendo ispirazione dai santi Vangeli, ha titolato la sua prima pagina “Il pass che libera”. Si è rimasti su un piano superficiale, non approfondendo i dubbi (legittimi, fino a prova contraria) espressi sull’argomento da laici, chierici e medici. Lo stesso Pontefice, nel videomessaggio ai popoli sulla campagna di vaccinazione dello scorso agosto, si è limitato a dire che “vaccinarsi, con vaccini autorizzati dalle autorità competenti, è un atto di amore. E contribuire a far sì che la maggior parte della gente si vaccini è un atto di amore. Amore per sé stessi, amore per familiari e amici, amore per tutti i popoli. L’amore è anche sociale e politico, c’è amore sociale e amore politico, è universale, sempre traboccante di piccoli gesti di carità personale capaci di trasformare e migliorare le società”. Capacità di persuasione prossima allo zero, ça va sans dire.
Sono due mondi che non si parlano e non sono destinati neppure a farlo prossimamente. Chi crede nella forza del binomio fede e ragione si trova in imbarazzo. Guy Consolmagno, gesuita e direttore della Specola vaticana dal 2015, l’ha scritto su America magazine, la rivista della Compagnia di Gesù pubblicata oltreoceano. Consolmagno, fisico e astronomo, ha premesso che “nella lotta alla pandemia le prove scientifiche a favore della vaccinazione sono schiaccianti”. Detto ciò, “ci sono molte persone che vedono la vaccinazione come l’unico modo per porre fine alla pandemia, spesso invocando il mantra di seguire la scienza”. Slogan senza dubbio affascinante ma che turba: “Implica che l’autorità della scienza è infallibile. Ma, naturalmente, non lo è. Per quanto sia odioso ammetterlo, la paura della fiducia cieca nella scienza ha un elemento di verità. A volte, la scienza è sbagliata. Sono uno scienziato e posso citare un numero qualsiasi di documenti scritti da me che poi si sono rivelati errati in modo imbarazzante. Ma, soprattutto, ci sono momenti nella nostra storia in cui la scienza – o almeno il modo in cui viene presentata – si è rivelata non solo imperfetta, ma orribilmente sbagliata”. La battaglia combattuta sul seguire la scienza, aggiunge Consolmagno, “è in realtà una lotta sull’affidabilità dell’autorità in generale. Alla fine della giornata, sia quelli che promuovono la scienza, sia quelli che la disdegnano, stanno cercando la certezza in un universo incerto. E’ un’intolleranza quasi calvinista dell’errore: il mondo è bianco o nero, il fallimento non è un’opzione. L’ironia è che la scienza stessa è in realtà un processo basato sul dubbio e sull’errore e sull’imparare ad analizzare quell’errore. Nella scienza, è essenziale sapere che non si conoscono tutte le risposte”.
Quanto al nocciolo del problema, il gesuita osserva che “scienza e religione sembrano essere in conflitto solo se si pensa a entrambe come a libri chiusi di regole e fatti, ognuno dei quali richiede una credulità infallibile. Ma questa non è religione, è fanatismo. E questa non è scienza, è scientismo. La scienza non ci dà la verità perfetta. Ma può dirci le probabilità. Ci fidiamo del vaccino perché migliora enormemente le probabilità di non ammalarsi (il problema è, naturalmente, che la maggior parte di noi è pessima nel capire come funzionano le probabilità, che è il motivo per cui i casinò e le lotterie hanno così successo)”. Dall’altro lato, visto che si parla di fanatismi, ci sono gli scettici: “Subito dopo aver annunciato che sono troppo intelligenti per essere ingannati dagli esperti, iniziano ad assumere qualche farmaco assolutamente inappropriato e pericoloso di cui hanno sentito parlare su internet. Le stesse persone che ci esortano a non essere pecore, un minuto dopo cercano di curare Covid prendendo farmaci destinati alle pecore. Perché qualcuno dovrebbe affidare la propria vita a un sito a caso che ha trovato su internet? Perché dovremmo rifiutare la religione in favore di una filosofia che possiamo leggere su una maglietta o un adesivo per paraurti? Dovremmo riconoscere la tentazione. E’ il fascino dello gnosticismo, il desiderio di abbracciare la ‘conoscenza segreta’. Questo è un impulso che esiste fin dai Padri della Chiesa nel secondo e terzo secolo, e in effetti fin da quando gli antichi greci eseguivano riti esoterici”.
Risulta facile, com’è evidente dal dibattito mediatico, relegare quest’ultima categoria tra i dannati da compatire. Sbagliato, secondo il direttore della Specola vaticana, convinto che “forse potremmo voler guardare dove abbiamo sbagliato nel modo in cui insegniamo la nostra scienza e la nostra religione. Se promuoviamo il ‘segui la scienza’ con l’implicazione che gli scienziati meritano di essere seguiti perché sono più intelligenti di te, non stiamo forse alimentando una pericolosa fallacia?”.
Si potrebbe lavorare di più sul piano emotivo, anziché allargare il fossato che separa i fronti: “Non so perché qualcuno dice: ‘no, il vaccino è pericoloso’, ma se te lo presentano i medici come una cosa che può andare bene, che non ha dei pericoli speciali, perché non prenderlo?”, ha detto il Papa. Lo scorso febbraio, Carlo Casalone, sulla Civiltà Cattolica, ha scritto che “i ricercatori rilevano infatti che la percezione del rischio è un processo cognitivo prevalentemente inconscio, su cui non incide soltanto la probabilità del danno che si può subire esponendosi a un pericolo, ma anche, e soprattutto, una componente emozionale, costituita da un insieme di paura, offesa e rabbia. Se la probabilità del danno di fronte a un pericolo si può calcolare oggettivamente – e questo è il compito degli esperti, come appunto afferma il Papa –, la componente emotiva dipende da una molteplicità di variabili. Non basta quindi mettere in campo argomentazioni logiche e dati scientifici, sul piano biomedico e statistico: occorre coinvolgere i piani emozionale e relazionale, in cui i comportamenti sono radicati”. Forse è quel che è mancato e che ha contribuito ad allargare il fossato, portando acqua al mulino di chi va all’assalto delle sedi sindacali con breviario in tasca o rosario al collo.