L'addio di Carrón a Comunione e liberazione e l'oggi della chiesa
Il sacerdote e teologo spagnolo lascia il movimento fondato da don Giussani come chiesto da Papa Francesco, ma c’è di più
Don Julián Carrón è un sacerdote e teologo spagnolo, trattenuto nei modi come a custodire una nativa timidezza, che non ha perso l’accento della sua lingua nonostante viva in Italia da molti anni, da quando don Luigi Giussani lo chiamò per affidargli, alla sua morte nel 2005, la guida di Comunione e liberazione. Ruolo cui è stato riconfermato nel 2008, nel 2014 e nel 2020. Non ha perso il suo riserbo nemmeno quando con una lettera sul sito di Cl ha annunciato le sue dimissioni “per favorire il cambiamento della guida a cui siamo chiamati dal Santo Padre”. Senza dilungarsi in dettagli, e con un’intonazione personale: “Rendo grazie a Dio per il dono della compagnia di cui ho potuto godere, davanti allo spettacolo della vostra testimonianza”. Le dimissioni di don Carrón non giungono certo inattese, per i membri del movimento e per chi conosca le vicende della chiesa, ma allo stesso tempo giungono impreviste: nella rapidità e secchezza, e anche nella mancanza di indicazioni sulla futura guida di Cl.
Ma al di là dei dettagli (e dei pettegolezzi comme il faut in qualsiasi comunità umana, dunque nella chiesa) il cambio al vertice del movimento fondato da don Giussani, e oggi presente in novanta paesi, ha qualcosa da dire non solo sul presente e futuro di una delle realtà ecclesiali più dinamiche e (a lungo) influenti sulla scena ecclesiale e sociale italiana, ma anche sulla direzione che già gli ultimi anni di Benedetto XVI e poi il pontificato di Francesco hanno impresso alla chiesa.
Non giunge inattesa (era anzi attesa) la rinuncia di Carrón perché diretta conseguenza del Decreto generale “Le associazioni di fedeli”, voluto dal Papa e pubblicato nel giugno scorso dal Dicastero per i laici, la famiglia e la vita guidato dal cardinale Kevin Farrell. Un documento che non riguarda soltanto Cl, ma che intende mettere ordine e indicare “una prudente conduzione del governo nelle associazioni” di laici ufficialmente riconosciute dalla chiesa, in particolare nella “regolamentazione dei mandati delle cariche di governo quanto a durata e a numero… al fine di promuovere un sano ricambio e di prevenire appropriazioni che non hanno mancato di procurare violazioni e abusi”. Violazione e abuso sono due termini che fanno drizzare le orecchie ai mezzi d’informazione, ma non per forza si tratta di crimini o reati. Più sottilmente, si tratta di garantire la libertà di ogni fedele di seguire la propria via di fede, dentro una particolare “forma” della chiesa. Il decreto si guarda bene dal riferirsi ai “fondatori” di movimenti o comunità, parla ai loro successori, che potranno restare in carica per un mandato di cinque anni e un totale di due mandati consecutivi.
Per Cl si è aperta dunque una questione che può sembrare puramente formale, e a cui la rinuncia di Carrón può sembrare conseguenza solo meccanica, dopo sedici anni alla guida del movimento. C’è però qualcosa di più, che rende impreviste, nei tempi e nei modi, le dimissioni. Il Decreto concede infatti due anni per gli adempimenti, e nei mesi scorsi la risposta ufficiale, di rispettosa accettazione delle indicazioni pontificie, da parte di Cl non aveva indicato nessuna data. Quanto alle modalità di scelta del successore, è la Diaconia centrale (massimo organo collegiale di corresponsabilità del movimento) a eleggerlo. Ieri, l’unica indicazione fornita è che l’assemblea si riunirà nelle prossime settimane. Formalmente, una sede vacante inedita per un movimento così fortemente coeso. Ma forse è anche il segno di un precipitare di qualche tensione.
Non è del resto un mistero che nel rapporto, filiale e paterno, tra Bergoglio e Cl ci sia da tempo qualche asperità. Con qualche appunto del Pontefice che non riguarda il carisma del movimento ma la sua disciplina, intesa come governo e conduzione. Questi richiami non sono stati sempre pacificamente accolti tra i ciellini, e non certo per indole disobbediente. Piuttosto, la guida all’interno del movimento è sempre stata accettata come naturale: se don Giussani ha scelto Carrón come suo successore, non può esserci una diversa prosecuzione del “carisma”. Da qui una certa difficoltà a comprendersi, già negli scorsi anni, su questi aspetti. E da qui una certa sorpresa, in molti esponenti di Cl, quando il Decreto di Bergoglio era suonato come una ingiusta condanna. Sembrano dissidi di lana teologica, ma c’è un senso più generale. La “disputa” (se così si può chiamare: qui è solo un rimando ai teologi medievali), tra il Papa gesuita e Cl non riguarda in ogni caso il “carisma”, ovvero il particolare modo di incontro col cristianesimo e di trasmissione della fede che è connaturato all’esperienza di ogni movimento, di ogni “storia” cristiana. Ma la successione sine die del fondatore è sempre stata sentita (anche se mai formalizzata da nessuno) come una garanzia, persino affettiva, di questa continuità, e ora il Papa ha chiarito che non è così, per la stessa libertà dei fedeli. Ieri Carrón ha scritto che si deve “favorire il cambiamento”, indicando un passaggio meno traumatico di quello che qualche commento ha voluto subito indicare (“la prima vittima della dottrina Bergoglio”). Ma c’è forse un di più da cogliere. Cl e altri movimenti sono stati protagonisti di una formidabile stagione di rinnovamento ecclesiale, giunta al suo culmine nella stagione di Giovanni Paolo II . Oggi la situazione storica della chiesa nel mondo e la visione di Francesco indicano altre strade per la responsabilità personale dei laici, evitando di confondere l’impegno cristiano con l’adesione a una particolare sigla. Le dimissioni di don Carrón indicano la stessa strada.