Il Papa non chiede a Comunione e liberazione un semplice maquillage istituzionale
Dopo le dimissioni di Carron è arrivata la revisione dello Statuto di Cl: una decisione dettata d’imperio dal dicastero pontificio per ragioni non facilmente comprese né apprezzate dai consociati. Il carisma non è verticistico
“C’è gloria per tutti!”. Parafrasando la sostanza dell’Editto di Costantino, con il quale nel 313 l’Imperatore romano riconobbe ai cristiani e alle minoranze piena libertà di culto e pari dignità, verrebbe da dire che questa è la sintesi delle comunicazioni rese dal presidente ad interim della Fraternità di Comunione e liberazione, Davide Prosperi, ai sui aderenti. Se il carisma non è verticistico, ma comunionale (in quanto destinato a continuare nel tempo non solo nel fondatore o in chi gli succede, ma in tutti i membri della realtà originata dallo stesso, così come ha spiegato padre Ghirlanda ai Memores Domini); se la relativa responsabilità grava su ciascuno; se insomma – riprendendo don Giussani – “Il singolo è responsabile di tutta la Fraternità in cui è immerso, qualunque sia la sua condizione attuale, di salute o di malattia, di letizia o di prova”, allora le conseguenze sono chiare, semplici e alla portata dell’esistenza di ognuno. Esse sono state declinate dallo stesso Prosperi: 1) non avere timore dei cambiamenti, ma intensificare il proprio impegno quotidiano di adesione a Cristo; 2) avvertire l’urgenza di una stima verso gli altri compagni e la responsabilità verso l’unità del movimento, da perseguire secondo un desiderio di concordia che è solo frutto di libertà; 3) nutrire fiducia verso la Chiesa, così da essere veramente fedeli alla storia particolare incontrata da ciascuno. Il tutto, all’interno di quella polifonia di esperienze vocazionali (contemplativa, sacerdotale, missionaria, matrimoniale) originate dalla storia di Comunione e liberazione.
Basterebbero questi brevi cenni, per dare forma e sostanza all’imminente processo di revisione dello Statuto, chiesto dal decreto pontificio a tutte le associazioni laicali nel segno della rotazione delle cariche di vertice.
Per meglio comprendere la valenza del passo richiesto, occorre considerare che lo Statuto di un’associazione (al pari di ogni altra Costituzione) non è un atto qualsiasi, da formulare o revisionare in via riservata e indipendente dalla considerazione e dal consenso degli altri consociati. Esso costituisce l’atto fondamentale di un’associazione, in quanto enuclea in modo formale le “ragioni dello stare insieme” proprie degli associati, definendo le modalità organizzative, i ruoli, le garanzie e ogni ulteriore profilo della vita della singola comunità. Un’eventuale revisione, pertanto, deve coincidere con la riscoperta dei fattori aggregativi originari, così da adeguarli alle esigenze dei tempi sopraggiunti; deve consentire la ripresa del cammino iniziale, dopo aver reso evidente la necessità da cui muove e l’obiettivo preso a riferimento. Una revisione, in definitiva, costituisce sempre un fatto di popolo, che necessita di ragioni pubbliche, dibattute, condivise e adeguate, così da rendere ancora più attuali le originarie “ragioni dello stare insieme”.
Il rilievo vale ancor più nel caso di specie. La scelta di revisionare lo Statuto, infatti, è derivata da una decisione esterna e non interna alla Fraternità; è stata dettata d’imperio dal dicastero pontificio per ragioni non facilmente comprese e talora nemmeno apprezzate dai consociati. Di qui, la sfida di rendere comprensibile e condivisa una revisione da molti avvertita come estranea alle esigenze associative; di rendere insomma partecipata una scelta invece obbligata. Anzitutto un chiarimento. Quanto chiesto dal decreto pontificio non è esauribile in una semplice revisione di facciata, o in un maquillage istituzionale. Non si tratta soltanto d’introdurre nelle associazioni religiose regole analoghe a quelle disposte dal legislatore statale per gli enti rappresentativi (si pensi alla legge Severino), che vietano ai titolari delle cariche la relativa permanenza per oltre due mandati consecutivi. Esiste certamente un’analogia fra le due figure, consistente nella pari esigenza di sventare il rischio di personalismi, “cerchi magici” e conseguenti violazioni dei diritti dei consociati (significativa è la Nota esplicativa del decreto pontificio). L’analogia, tuttavia, si ferma qui; per il resto valgono le ragioni di differenza fra il diritto dello stato e quello della Chiesa.
Nella Chiesa la tutela riconosciuta ai singoli dissenzienti e alle minoranze non discende tanto dai principi liberali dell’eguaglianza, della rappresentanza, della separazione dei poteri e via dicendo; deriva, piuttosto, dalla consapevolezza di come il Corpo di Cristo non possa essere appannaggio di una maggioranza, né tantomeno possa essere smembrato da progetti settari, o da appropriazioni personalistiche dei carismi donati dallo Spirito Santo. Nel modello di governo della Chiesa non compare un’ansia di controllo del Popolo di Dio; il metodo della comunione non teme o mortifica la diversità, ma la esalta (San Paolo, Galati, 2,9). Vale l’insegnamento che la Tradizione riconduce a sant’Agostino: “unità nelle cose necessarie, libertà in quelle dubbie, carità in tutte”. Sicché è lasciato spazio all’avventura della libertà, anche spirituale; è lasciato spazio a quell’inquietudine umana, la quale – riprendendo Papa Francesco – rappresenta “il segnale che lo Spirito Santo sta lavorando dentro di noi [sicché] la libertà è una libertà attiva”. Persino nel momento elettorale del Sommo Pontefice e nel caso di eventuali fratture nel Collegio dei cardinali, la libertà degli elettori viene a tal punto preservata, da trovare solo nella preghiera l’unico elemento di responsabilizzazione (Paolo VI, Romano pontifici eligendo, cap. V, n. 76).
La revisione dello Statuto chiesta dal decreto pontificio si pone nella prospettiva rappresentata. Ed è significativo che nelle proprie comunicazioni Prosperi abbia indicato l’unità della Fraternità quale esito della responsabilità personale e di una concordia rimessa alla libertà di ciascuno. In linea con il rispetto di quell’inquietudine che la vita della Chiesa assicura ai propri fedeli, la revisione della governance della Fraternità dovrà “riflettere l’originalità del carisma” di Comunione e liberazione. Per farlo occorrerà (ri)scoprirne le ragioni; occorrerà considerare che “ognuno di noi è responsabile del carisma incontrato e dell’unità del movimento”. È il momento della costruzione, cioè dell’adesione quotidiana a Cristo.
Vincenzo Tondi della Mura
Ordinario di diritto costituzionale
Università del Salento