Lasciamo ai preti almeno le coccole
Mons. Aupetit è caduto nella trappola dell’ipocrisia, non della verità, e il capo della Chiesa ha dovuto subirla anche lui perché non si può comandare in mezzo alle dicerie. Urge sdoganare la carezza
Chi sono io per dare un valore sproporzionato ai messaggini e alle coccole di un vescovo? Per ammissione di Francesco, monsignor Aupetit è caduto nella trappola dell’ipocrisia, non della verità, e il capo della chiesa ha dovuto subirla anche lui perché non si può comandare in mezzo alle dicerie. Eppoi, diciamocelo, il peccato carnale non è quel gran peccato che si pensa. Ma va?
Gesuita, non giansenista, Papa Francesco se la cava anteponendo la superbia e l’odio, peccati in linea di principio quasi irremissibili, alla concupiscenza, perdonabile anche per vie spicce. Da qualche parte che adesso non ricordo sant’Agostino aveva spiegato che nella situazione edenica Adamo ed Eva si coccolavano nudi e angelici, era un automatismo fissato nel cielo, nel disegno divino, poi dopo il peccato originale, ceduto che ebbero alla tentazione di mangiare la mela, dovettero indossare la foglia di fico, intervenne il pudore, la morte dell’anima catturò quel che sembrava il piacere della volontà libera, del desiderio e del corpo. Ma forse mi sbaglio. Fatto è che chiunque abbia praticato coccole e altro sa quanto di piacevolmente trasgressivo sta nella pratica che ci ha dato la mortalità e la condanna biblica, oltre che la propagazione della specie sibbene ora in contesto di sinistra crisi demografica. E un residuo di pudore resta sempre nella ginnastica più o meno freudiana della cosiddetta sessualità. L’agostiniano Lutero lo superò, il pudore, sposando Caterina von Bora, figliando a più non posso, e rinunciando alla castità o alla continenza, con note conseguenze sulla definizione finale, moderna, dell’interiorità credente, della fede e della teologia della Croce.
Monsignor Aupetit ha fatto di meno, per lui nessun fertility day, è rimasto semicasto e semipudico, ingiusto demonizzarlo per un peccatuccio veniale, che ora paga con le dimissioni e la fine di una carriera pastorale per la quale era ben attrezzato a quanto unanimemente si dice. Ma questa cosa del sesso in chiesa va risolta con mezzi acconci. Se le coccole sono solo coccole, e i messaggini la loro infantilizzazione laica, si proceda dunque alla loro canonizzazione. Come si fa a essere inquisitori nei seminari, a esaminare con apparati di psicologia ed esperti i candidati al sacerdozio, per un sentimento di affettività tutto sommato innocente, negando loro il diritto alle coccole? I gesuiti hanno avuto tutto dalla loro storia, ma non eccellono nel senso dell’umorismo.
Certo che se l’amore è il cuore della teologia morale, vince tutto, santifica la fede, obbliga la coscienza contro ogni logica di odio e superbia, la conseguenza evidente non può che essere lo sdoganamento della coccola. A questo punto veramente non ha più alcun senso logico né canonico l’obiezione contro la disponibilità sacerdotale alle nozze, la teoria del coelibatus. La sublimazione della sensualità e del desiderio sono diventate una specie di malattia psichica, alla quale vengono addebitate le peggiori pulsioni efebofile, la caccia alla preda carnale dove la si può tracciare e catturare, e questo fa molto male alla Chiesa, come sa anche Francesco che ha cominciato infine a obiettare qualcosa alla logica giacobina della commissione che ha incastrato per settanta anni retroattivi l’intero clero di Francia al reato di pedocriminalità. C’è un modo di tirarsene fuori, legittimando non dico le nozze del prete, non dico il fidanzamento, ma almeno le coccole.
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