Credibilità vaticana
Il memoriale di mons. Peña Parra e il processo che rischia di mandare ko la Santa Sede
Il processo sul palazzo di Londra è costellato di anomalie. E dal suo verdetto l'immagine del pontificato potrebbe uscire compromessa. Come testimonia il documento redatto dal sostituto della Segreteria di Stato
Volendo essere buoni, lo potremmo definire il paradosso vaticano. Ma la situazione che si è creata con il processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di stato può essere meglio definita con il detto “predicare bene, razzolare male”. Perché da una parte c’è una Santa Sede che chiede e difende il giusto processo in sede internazionale, ricordando che “la presunzione di innocenza, il principio di legalità e il diritto al dovuto processo, tra le altre cose, devono essere rispettati” – parole dell’arcivescovo Gabriele Caccia, osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni unite, in un discorso del 22 ottobre al Palazzo di Vetro di New York. Dall’altra parte, però, in Vaticano c’è un processo che rischiava persino di essere invalidato, tante sono state le anomalie processuali e i diritti difensivi calpestati, fino alla sospensione del principio dell’habeas corpus deducibile direttamente dai rescripta papali che hanno modificato strada facendo le regole del processo.
Resta tutto da comprendere perché, allora, nel processo vaticano sulla gestione dei fondi in Segreteria di stato si sia deciso di procedere, nonostante la richiesta dello stesso promotore di giustizia di riprendere le indagini daccapo. E la risposta che viene da pensare è che il processo c’è perché è il Papa che lo vuole, come dimostra il suo attivismo. E che, allo stesso tempo, il processo c’è perché delle decisioni sono state prese direttamente su impulso papale e ora si tratta di difendere la volontà papale e allo stesso tempo difendere l’immagine di un pontificato che per queste contraddizioni potrebbe finire drammaticamente compromesso.
Che ci sia una volontà papale è ben dettagliato in un memoriale presentato ai giudici vaticani dall’arcivescovo Edgar Peña Parra, sostituto della Segreteria di stato. Nominato nel 2018, Peña Parra da subito si è impegnato (e lo rivendica) in una ristrutturazione e armonizzazione dei disordinati investimenti della Seconda Loggia, fino a incappare nel buco nero rappresentato dall’investimento nel palazzo di Londra. Il modo in cui è stato gestito l’investimento è stato messo in discussone nel processo. Ma il memoriale di Peña Parra – che siamo stati in grado di visionare – chiarisce molti aspetti, e non necessariamente a difesa dei superiori della Segreteria di stato e dello stesso Papa Francesco.
In una ventina di pagine, e con quasi duecento pagine di documentazione allegata, il sostituto mette in luce un sistema a lui preesistente, racconta circostanze che dimostrano le sue affermazioni, riferisce che spesso le decisioni gli venivano fatte prendere in urgenza proprio per indirizzare verso alcuni scenari già predestinati. Non solo. Accusa monsignor Alberto Perlasca, che era stato per dodici anni direttore dell’ufficio amministrativo della Santa Sede, di aver preso decisioni senza consultare superiori, di aver agito in combutta con Torzi e di essere parte di un sistema che sfavoriva la Santa Sede.
Il sostituto difende le sue decisioni nel proteggere l’investimento di Londra, nota il lavoro che ha fatto nel riorganizzare le stesse finanze della Segreteria di stato, e soprattutto spiega che la decisione di pagare per riprendere possesso del Palazzo di Londra era l’unica percorribile. L’arcivescovo Peña Parra rivendica la bontà dell’investimento, che oggi fa utili anche in un regime anche sfavorevole, avendo dovuto contrarre un nuovo prestito – annotazione che non manca di mettere in luce indirettamente il rifiuto dello Ior a finanziare l’operazione, che avrebbe portato benefici anche allo stesso istituto.
Invece di difendere le proprie scelte, la Segreteria di stato ha deciso di costituirsi parte civile al processo, perché dalle azioni di alcuni degli imputati avrebbe subito danni. Sarà da vedere quali saranno le conseguenze della scelta, se verrà provato in sede di processo che anche il cardinale Parolin aveva approvato le operazioni. Non solo. A leggere il memoriale di Peña Parra, si nota come la soluzione presa potesse essere l’unica possibile per salvare l’esposizione della Santa Sede. Il fatto è che se tutto resta in un memoriale privato, allora non c’è modo di portare avanti una battaglia per la verità. Anche perché l’opinione pubblica uscirà profondamente scossa da questo processo.
Sarà da vedere quanto peso avrà questo memoriale a processo. Un processo dalle mille contraddizioni per una storia che di contraddizioni ne ha diecimila. A rischiare resta la Santa Sede, che vede erosa dai giudici vaticani la credibilità internazionale che ha costruito nel corso del tempo. Come potrà la Santa Sede resistere all’invito dell’opinione pubblica mondiale e della comunità internazionale a firmare trattati in materia di diritti dell’uomo, che tutelino il diritto al giusto processo, e che consentano il vaglio della Corte europea dei diritti dell’uomo come accade negli altri stati di diritto in Europa?
Il cristianesimo non è utopia