Ecco come il cardinale Ratzinger portò il tema degli abusi all'attenzione della Chiesa
La riunione del 1999, il primo congresso vaticano nel 2003. Nessuno prima dell’allora prefetto per la Dottrina della fede aveva agito con determinazione
Era un incontro segreto. Il 24 ottobre 1999, i vertici del Vaticano si sono riuniti presso la congregazione per il Clero in piazza Pio XII a Roma. Tutti i cardinali prefetti delle congregazioni interessate insieme agli arcivescovi segretari, una quindicina di persone. Dovevo tenere una relazione sulla pedofilia. Un giovane teologo morale ha parlato prima di me, e la sua meticolosa presentazione riguardava la necessità di impedire soprattutto ai vescovi americani di liquidare in men che non si dica la questione dei preti sospettati di abusi.
Il cardinale Castrillón Hoyos, prefetto della congregazione per il Clero, aveva dato il tono quando ha letto una lettera di un vescovo americano a un prete: “Lei è sospettato di abusi, deve lasciare immediatamente la sua abitazione, il mese prossimo non riceverà più lo stipendio… with other words, you are fired” (“in altre parole, lei è licenziato!”). Di fronte a ciò non è stato difficile reclamare il rispetto delle norme giuridiche.
Poi però è intervenuto il cardinale Ratzinger, che ha lodato il giovane professore per la sua diligenza, ma poi ha spiegato di essere di parere completamente diverso. Certo, i principi giuridici devono essere osservati, ma bisogna anche capire i vescovi. L’abuso da parte dei preti è un crimine così orribile e causa una sofferenza così terribile alle vittime da richiedere un’azione decisiva, e i vescovi avevano spesso l’impressione che Roma ritardasse tutto e legasse loro le mani. La commissione rimase di sasso, seduta lì, perplessa, alcuni dissentirono cautamente, e nel pomeriggio si creò ancora un’accesa polemica in sua assenza.
Il Papa se ne prende cura
Due anni dopo, Ratzinger era riuscito a convincere Papa Giovanni Paolo II a ritirare la questione dalla congregazione per il Clero e ad assegnarla alla congregazione per la Dottrina della fede. Il cardinale Castrillón Hoyos reagì in modo offeso. In precedenza gli avevo consigliato con urgenza di avvalersi di competenza internazionale, perché io stesso potevo riferirgli le cose solo di seconda mano.
Ho saputo che aveva scritto a margine degli appunti della conversazione: “Questione da considerare”. Questo era tutto. Ma ora egli non era più il responsabile. Mi trovai di fronte al cardinale Ratzinger nella primavera del 2002 e gli spiegai che andava benissimo che il Papa avesse dato la giurisdizione alla sua Congregazione – la stampa era soddisfatta: il Papa se ne prende cura! – ma che in realtà, pensavo che lui personalmente e i suoi collaboratori non avessero alcuna idea della questione.
Gli ho detto che, secondo il mio parere, aveva urgentemente bisogno di consultare esperti internazionali, di invitarli in Vaticano, per esempio… Ha ascoltato attentamente e ha reagito immediatamente: “Perché non lo fa Lei?” Non l’avevo immaginato in questo modo. Gli spiegai che avevo delle figlie piccole, che non ero a mio agio con l’argomento, che non ero uno psichiatra forense, e che lui avrebbe dovuto riflettere bene se lo volesse veramente. “Sì, lo voglio!”.
I perpetratori non devono continuare a lavorare come preti
Così mi sono consultato con i maggiori esperti tedeschi; ho partecipato a congressi internazionali; ho parlato con i più rinomati scienziati del mondo e ho coordinato tutto con monsignor Scicluna della congregazione per la Dottrina della fede. Il cardinale Ratzinger ha sottolineato che voleva che fosse menzionato anche il punto di vista delle vittime, e mi ha dato una lettera dello psichiatra infantile Jörg Fegert, che lo aveva contattato e che ho incluso tra gli invitati.
Così, dal 2 al 5 aprile 2003, si è realizzato il primo congresso vaticano sugli abusi. Ci siamo incontrati nel palazzo papale, erano presenti tutte le autorità di curia che avevano a che fare con il problema. Alcuni esitavano e furono “motivati” personalmente da Ratzinger a venire. E’ stato un congresso molto denso, con domande estremamente franche da parte dei rappresentanti del Vaticano e risposte altrettanto disinvolte da parte degli esperti internazionali – tutti non cattolici.
Questi ultimi hanno sostenuto che i colpevoli dovrebbero essere controllati, ma non semplicemente buttati fuori, altrimenti, in assenza di prospettiva sociale, potrebbero diventare piuttosto un pericolo per la società. Durante una cena, alcuni esperti hanno cercato di convincere Ratzinger di questa idea, ma lui si oppose, dicendo che l’abuso era una cosa così terribile, che non si poteva semplicemente lasciare che tali perpetratori continuassero a lavorare come preti.
Il volto sporco della Chiesa
Nel 2004, su insistenza di Ratzinger – e contro strane resistenze da parte della curia – le relazioni sono state pubblicate e inviate a tutte le diocesi di lingua inglese. Il Venerdì santo del 2005, mentre Papa Giovanni Paolo II stava morendo, il cardinale Ratzinger aveva assunto il compito di formulare i testi per la Via Crucis al Colosseo, e lì si leggeva: “Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui [Cristo]! […] La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano”. Quattro settimane dopo era Papa.
Subito ha tolto dalla circolazione il criminale fondatore dei Legionari di Cristo, poi ha per la prima volta parlato alle vittime come Papa in diverse occasioni, cosa che ha toccato profondamente alcune di loro, ha scritto ai cattolici in Irlanda che è stato un crimine scandaloso non aver fatto quello che si sarebbe dovuto fare, perché ci si preoccupava della reputazione della Chiesa.
Nel 2010, un alto funzionario della Chiesa, che aveva falsamente accusato un sacerdote, mi diceva di non poter smentirlo perché doveva badare alla buona reputazione della sua istituzione. Ero inorridito. Quando i media mi hanno chiesto di questo caso, mi sono rivolto a Papa Benedetto. La risposta era arrivata prontamente: “Papa Benedetto Le manda il seguente messaggio: parli, deve dire la verità!”.
Non una sola prova
Così, dal 1999 in poi, ho sperimentato la ferma presa di posizione di Joseph Ratzinger contro gli abusi, ma come stavano le cose prima? Anch’io ero curioso di vedere come sarebbe andata a finire la perizia di Monaco. Forse ci furono decisioni sbagliate, dilettantismo, fallimento. Poi è arrivata la conferenza stampa.
I giornalisti si sono poi lamentati di una teatralità in effetti disturbante, che non distingueva tra fatti, ipotesi e giudizi morali. Solo un punto era chiaro: è stato dimostrato in modo convincente che Ratzinger ha detto il falso circa la sua presenza a una riunione dell’ordinariato. Inoltre è stata citata una sua risposta che minimizzava l’esibizionismo. I giudizi conseguenti erano – senza conoscenza del testo – prevedibili.
Tuttavia, la lettura della parte del testo che riguarda Ratzinger ha poi rivelato due sorprese: infatti, dopo meticolose ricerche da parte degli esperti in tutti e quattro i casi in cui Ratzinger è stato accusato, non c’era una sola prova solida che egli fosse stato a conoscenza della precedente storia degli abusi. L’unica “prova” era la dichiarazione di due dubbi testimoni circa uno dei casi: loro, per sentito dire, sostenevano ora il contrario di quello che avevano affermato anni prima.
Risposte strane
Il verbale della suddetta riunione di ordinariato registrava semplicemente che era stato deciso di ospitare in una canonica un sacerdote che veniva a Monaco per una terapia. Niente sugli abusi, niente sulla cura pastorale. Ma soprattutto mi ha sorpreso il fatto che nel caso di alcune risposte era chiaro che non si trattava del linguaggio di Benedetto. Le “sue” osservazioni sull’esibizionismo appartenevano, nel migliore dei casi, al seminario di diritto canonico e in realtà qui, in modo imbarazzante, sembrarono grottesche e banalizzanti.
Ora è chiaro quale fosse la ragione. Un uomo di 94 anni, com’è Benedetto, non è stato ovviamente in grado di esaminare lui stesso le migliaia di pagine di documenti. I membri dello staff lo avevano fatto e avevano commesso degli errori nel processo. Contrariamente alla risposta originale secondo la quale non aveva partecipato a una riunione 42 anni fa, in realtà era presente. Inoltre, lo studio legale aveva usato uno strano stile di interrogatorio. Alcune delle domande erano retoriche, suggestive o miscele di accusa e giudizio.
Chiunque avrebbe cercato un consiglio legale su tali questioni, compreso, a quanto pare, Papa Benedetto. Infine, le domande maldestre dello studio legale non gli hanno dato la possibilità di affrontare la questione della sua responsabilità personale. Ha annunciato che vuole ancora esprimersi su questo e sull’origine delle risposte strane. C’è da aspettarsi che allora questo sarà veramente il suo testo, e si dovrebbe avere la correttezza di aspettare questa dichiarazione.
E’ tempo di decisioni
Certo, si può criticare Joseph Ratzinger, lui stesso l’ha chiesto più volte. Qui, tuttavia, si ha l’impressione che un uomo anziano che, tra tutte le cose, ha realizzato un lavoro pionieristico sul tema dell’abuso, che in origine gli era completamente estraneo, sia stato trascinato sulla scena in modo sensazionalistico, invece di indagare finalmente le questioni decisive: Perché nessun funzionario della Chiesa in Germania ha ammesso apertamente la sua colpa personale e si è dimesso volontariamente?
Già nel 2010, Papa Benedetto ha detto: “Primo interesse sono le vittime, come possiamo riparare […] con aiuti materiali, psicologici, spirituali”. Allora perché le vittime non sono ancora aiutate ad organizzarsi in modo veramente indipendente e perché non sono ancora adeguatamente risarcite su base individuale? Perché una perizia segue l’altra a un galoppo senza fiato senza che ne venga fuori niente? La rappresentanza delle vittime presso la Conferenza episcopale tedesca dice giustamente che è finalmente tempo di decisioni e di azioni coraggiose. Da dodici anni esiste in Germania la richiesta giustificata di un’indagine da parte dello stato, veramente indipendente e scientificamente seria, sia sulle chiese che sulle pertinenti associazioni sportive. Il rapporto di Monaco ha finalmente chiarito: è ora che lo stato agisca!
Manfred Lütz
l’autore è psichiatra, psicoterapeuta, teologo e scrittore. Dal 1997 è membro della pontificia accademia per la Vita e del dicastero per i laici, la famiglia e la vita. Nel 2003 ha organizzato il primo congresso vaticano sugli abusi.
L’articolo è apparso lo scorso 1° febbraio sul quotidiano Neue Züricher Zeitung. Traduzione italiana di Stephan Kampowski
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