Fazio ha mostrato la doppia natura di Papa Francesco, umana e divina
Adulatori subito commossi, detrattori che l’attendevano al varco. Analisi della lunga performance papale a “Che tempo che fa” con la surreale coda polemica tra il Codacons e Lercio. Girotondo fogliante
L’unica cosa che stupisce è lo stupore generale. Papa Bergoglio è una delle poche personalità globali a vivere realmente il nostro presente, a cogliere rischi e opportunità, la sfida è ripopolare un Credo sempre più disabitato, povero umanamente, per farlo la sua attenzione va al mondo che egli sente più vicino, per appartenenza e ordine, quello progressista. Come dargli torto? Quali alternative credibili ha l’occidente? Soprattutto, nessuna alternativa sembra concedere la Storia in questo momento. La sua è un’evangelizzazione dolce, per così dire, rivolta a tutti quelli che hanno visto nel corso degli ultimi cinquant’anni decadere il proprio orizzonte ideologico, e con esso i tabu che allontanavano meccanicamente dalla possibilità cristiana.
Sarebbe potuto andare in un altro programma? Ricordiamoci che le precedenti interviste erano state rilasciate a Mediaset, dunque ha agito, almeno questo lascia intendere, per equità rispetto alla Rai. In conclusione: ha fatto bene? Sì. Lo dicono gli otto milioni e oltre di spettatori che lo hanno visto. Come un uomo tra altri uomini.
Daniele Mencarelli
scrittore
“E ogni volta lo sciocco che di vite ne ha una guarda il dito e non guarda la luna”. Così cantava Branduardi, su testo di Giorgio Faletti citando un proverbio cinese falsamente attribuito a Confucio, in realtà emerso in ambiente buddhista diversi secoli dopo. Tutti a guardare Fazio, e il Papa che va da Fazio, e a dire che è un assist a quelli “de sinistra”, e nessuno a riflettere su quello che il Papa ha detto.
Che poi sono quattro cose, cristianesimo elementare, quello che dovrebbe unire i cristiani prima che si dividano sulle teologie e le ideologie.
Primo: uomini e donne sono dotati di libertà, quindi responsabili delle loro scelte. Ovvio? Mica tanto, i cristiani ci misero secoli per convincere i pagani, i quali pensavano che il fato o gli dei ci manovrassero come burattini inconsapevoli. E presumibilmente oggi tanti che guardano Fazio non hanno mai letto il Vangelo ma hanno orecchiato dal barbiere o dalla pettinatrice che gli astri o il karma ci fanno fare cose che non vorremmo, mica è colpa nostra, signora mia.
Secondo: se siamo liberi possiamo scegliere il male, che non è un’illusione, un pensiero negativo della nostra mente, esiste davvero ed esiste perfino il Diavolo, con cui è bene non avere a che fare. Il male poi si declina in tanti modi: mali misteriosi di cui non sappiamo nulla – come il perché delle sofferenze dei bambini, ma nel 2011 in televisione Benedetto XVI rispose anche lui nello stesso modo –, mali che derivano dalla cattiva politica che disprezza i poveri e l’ambiente, mali che derivano dalle magagne della Chiesa, che generano “putredine” – e chi vuole capire capisca. Lo aspettavano al varco sugli immigrati e ha detto che sì certo, il male è anche l’indifferenza verso quelli che muoiono in mare, però ogni paese può accogliere solo un certo numero di migranti, poi ci deve pensare l’Unione europea e non imbrogliare le carte mandandoli tutti in Spagna e in Italia.
Terzo: il male coinvolge tutti noi, ma per fortuna non è irreversibile. Chi si pente sinceramente – non chi continua a dire di aver ragione – ha “diritto” al perdono. E subito giù teologoni a dire che, poveretto, il Papa non è teologo, se no saprebbe che il perdono non è un diritto, Dio perdona chi vuole. Però ai teologoni il Papa preferisce il Buon Pastore alla ricerca della pecorella smarrita, che in teoria potrebbe non perdonare ma di fatto dà il perdono a tutti quelli che sinceramente lo chiedono.
Quarto: il male si vince con l’amore, che non è una rima con cuore da Festival di Sanremo di altri tempi ma quella scintilla che ciascun genitore sperimenta quando guarda il figlio, e se è credente gli viene in mente che Dio Padre guarda i suoi figli, cioè tutti, nello stesso modo. Solo che oggi tutto è tremendamente difficile e allora il Papa invita a sdrammatizzare, porgere l’amore con un po’ di umorismo. Quello che manca allo sciocco che guarda il dito invece della luna.
Massimo Introvigne
sociologo
Al di là delle intenzioni del Papa, sicuramente buone e sante, la presenza da Fazio suscita perplessità sia per la forma sia per i contenuti, perché si innesta in un percorso di secolarizzazione del papato che sta nascondendo al mondo la natura divina della Chiesa. Bisogna parlare a tutti gli uomini, si dice. Giusto. ma Cristo “si è fatto uomo per farci Dio”, sintetizza sant’Atanasio; si è fatto uomo, “assumendo la condizione di servo” – dice san Paolo – per elevarci alla condizione divina. E dalla Chiesa dunque ci si aspetta che ci indichi la possibilità di uscire dalle sabbie mobili del peccato facendoci vedere a quale grandezza siamo chiamati. Ecco, la sensazione è invece che si segua il percorso inverso: non l’uomo elevato alla sua vocazione divina, ma Dio abbassato alla condizione umana. In questa ossessionante preoccupazione di farsi capire dal mondo, di parlare la lingua del mondo, il Papa finisce per dire le cose che potrebbe dire il segretario generale dell’Onu, diventando alla fine inutile. E il suo dire diventa un’opinione fra le altre. Non c’è bisogno di un Papa per dire che bisogna mettersi nei panni dei migranti, che bisogna rispettare la natura, che il lavoro è importante. C’è bisogno del Papa per richiamare al senso ultimo della vita, che metta il dolore, la sofferenza, nella prospettiva liberante del mistero dell’incarnazione, morte e resurrezione di Gesù. C’è bisogno del Papa per l’annuncio che il peccato e la morte non sono l’ultima parola nella nostra vita, per un annuncio che ci muova alla conversione a Cristo. Inoltre, per il modo stesso in cui questi programmi sono costruiti, servono sicuramente all’audience, aumentano certamente il consenso popolare per il Papa, ma a detrimento della Chiesa. Perché, grazie anche a tutto il contorno mediatico, rafforzano la narrazione di un Papa “bravo”, riformatore, rivoluzionario, vero cristiano contro una Chiesa (o almeno una curia) corrotta che gli rema contro. Le cose non stanno affatto così, ma chi ci crede?
Riccardo Cascioli
direttore della Nuova Bussola quotidiana
L’altra sera, davanti allo spettacolo della conversazione tra Fazio e il Papa, mi si è accesa una lampadina. Ho pensato alla natura del cattolicesimo, agli elementi che lo definiscono. Tra questi vanno certamente considerati tutti i dogmi, i precetti, le dottrine, eccetera, tutto quello che noi sociologi giustamente rileviamo quando facciamo le nostre indagini. A questi indicatori dovremmo però aggiungere come indizio di cattolicità il papismo, ovvero la convinzione che l’uomo designato da un’assemblea di cardinali a dirigere la Chiesa sia una creatura di natura diversa e superiore rispetto al resto degli umani. Moltissimi cattolici praticanti sono papisti, ma lo sono ugualmente moltissimi cattolici che non praticano e anche moltissimi non credenti (o che perlomeno si percepiscono tali). Essere papisti è come essere monarchici: significa credere che il Pontefice romano abbia un sangue diverso da quello dei suoi simili e che questo implicitamente si debba alla volontà di Dio. Fazio, come tantissimi italiani, è un papista convinto. Forse (dico forse perché non lo so), al pari di tanti papisti, se ne frega di tutti i riti cattolici, non va a messa e non fa la comunione. Ma è papista. Ed è per questo che l’altra sera non ha trattato il Papa come l’uomo a capo di un’organizzazione complessa di dimensioni planetarie, con un immenso patrimonio immobiliare e mobiliare e mezzo milione di funzionari stipendiati sparsi in tutto il mondo. Quello che stava a cuore a Fazio era mostrare la doppia natura del Papa, umana e divina. E, dal suo punto di vista, ci è riuscito benissimo: da un lato mostrando il lato umoristico e spiritoso di Bergoglio, la sua simpatia e la sua umanissima umiltà, dall’altro suggerendo che il Papa abbia il potere sovrannaturale di leggere nei nostri pensieri e di salvare, con il suo sacrificio solitario, con la sua preghiera e la sua fatica quotidiana, l’intera umanità. In questo modo ha confermato agli occhi di molti (non di tutti, tanti altri papisti continuano a pensare il contrario) che il monarca argentino non è un impostore e che lui e la Chiesa (vista esclusivamente come il suo apparato personale, come la sua corte) meritano di essere obbediti e seguiti con fede sicura. Un risultato mica male per una trasmissione tv.
Marco Marzano
sociologo
Coda demenziale dell’intervista di Fabio Fazio al Papa: la testata satirica Lercio ha annunciato un esposto del Codacons perché, nel corso della trasmissione, il Pontefice ha detto “Dio” e “Cristo” in fascia protetta e in prima serata, sulla tv pubblica, pagata coi soldi di tutti. E il Codacons ha davvero inviato una richiesta di formale smentita a Lercio, minacciando di adire le vie legali, data la delicatezza del tema e non meglio precisati rapporti che l’associazione intrattiene col Papa. Lercio l’ha davvero pubblicata verbatim, in un crescendo di surrealismo che solo in Italia. Un corto circuito così paradossale la dice lunga sul Codacons, certo; però, nella sua assurdità, rivela anche qualcosa riguardo alla singolare collocazione dell’intervento pontificio. L’adesione del Papa a un format precostituito – da vent’anni ben cristallizzato nella mente degli spettatori, come “Che tempo che fa” – sottopone automaticamente le sue parole allo stesso vaglio ozioso o polemico riservato al resto della trasmissione, esponendole alla satira e alle beghe un po’ paracule, come un’intervista a Bill Gates o a Gorbaciov o a Del Piero. Questo non accade invece quando è la presenza del Papa a dettare la costruzione attorno a lui di un format televisivo apposito, come nel caso dell’Angelus o della Via Crucis. Al solito, è il contesto a dettare il testo. Infatti, fino a qualche tempo fa, la notizia “Il Papa ospite di Fabio Fazio” poteva darla solo Lercio. E poteva cascarci soltanto il Codacons.
Antonio Gurrado
docente