Né con Mosca né con Washington. La posizione vaticana alla prova di Putin
Il Vaticano guarda la crisi ed è pronto a “facilitare” un complicato negoziato tra le parti (con l'ok degli ortodossi russi). Il possibile ruolo di Draghi come ambasciatore
Ortodossi e cattolici uniti nel chiedere la pace. Ma il patriarcato di Mosca che fa? Sul terreno si mischiano politica e religione. Problema
Parlando nei giorni scorsi agli ambasciatori dell’Unione europea accreditati presso la Santa Sede, il capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, Sviatoslav Shevchuk, è tornato sull’ipotetico viaggio del Papa a Kiev. Perfino i protestanti, ha detto, “stanno raccogliendo lettere per sollecitare il viaggio, in una sorta di attitudine di benvenuto verso il Papa da parte di cristiani e non cristiani”. D’altronde, nelle settimane scorse, proprio Shevchuk aveva osservato che se Francesco fosse andato in Ucraina, la guerra sarebbe finita ancora prima di iniziare. Un gesto, anche simbolico, avrebbe fermato i carrarmati russi e stemperato la tensione. Ma Roma, pubblicamente, assume una posizione di soft diplomacy: guarda con preoccupazione la situazione sul terreno, invita alla preghiera per scongiurare la guerra, lancia appelli prima che al riconoscimento delle repubbliche del Donbass seguano i bombardamenti. Niente mediazioni, si ripete dal Vaticano: semmai si lavora per “facilitare” una soluzione tra le parti, anche se – trapela – la situazione è complessa. E’ anche per questo che la Santa Sede non entra con forza nell’impasse diplomatica, rischierebbe di provocare risentimenti e gelosie. Di fatto, irrigidendo ancora di più la situazione sul campo. Roma vuole restare in una posizione terza, anche perché non è coinvolta direttamente: non ci sono, qui, minoranze cristiane da difendere da orde islamiste, come accadde in Siria con l’avanzata delle milizie califfali.
Se pubblicamente i toni sono spirituali e richiamano alla pace, quel che di concreto si pensa oltretevere l’ha scritto Avvenire. Constatato infatti che “è storicamente evidente quanto la Russia putiniana sappia essere ben più aggressiva e tracotante del sistema difensivo a cui partecipa anche l’Italia”, è altrettanto vero che “Washington e vertice Nato hanno assunto un atteggiamento marcatamente anti russo che non può solo essere giustificato dagli atteggiamenti aggressivi di Putin”, ha scritto Riccardo Redaelli. Quanto allo status dell’Ucraina, in Vaticano si ritiene ogni possibile discorso sull’adesione alla Nato una mera provocazione. Da qui l’esigenza di restare fuori dalla contesa, lavorando semmai sui due campi avversi per facilitare un accordo o, quantomeno, l’avvio di un difficile negoziato.
E’ qui che si inserisce il discorso di Sua Beatitudine Shevchuk: c’è un indizio che porta a immaginare lo scenario futuro: una grande azione di tutti i leader religiosi locali per riaffermare la pace (fragile o meno) e allontanare lo spettro bellico. Tutti insieme. Dalla Chiesa greco-cattolica ucraina si fa sapere che lì già non v’è distinzione tra ortodossi fedeli a Mosca e a Kiev, tra cattolici e protestanti: nessuno vuole la guerra. Anche se sulla posizione del patriarcato moscovita, alleato di ferro di Putin, sono lecite le perplessità. Che fare, dunque? Se il Papa non può esporsi subito in prima persona – il patriarcato, soprattutto con le sue frange più nazionaliste, chiuderebbe in poche ore ogni dialogo con Roma rendendo un’utopia il promesso incontro tra Francesco e Kirill – ecco che si fa largo l’ipotesi di Mario Draghi in veste di ambasciatore presso Vladimir Putin: nel caso dovessero incontrarsi, non solo di gas e grano parlerebbero. Ma anche della possibile opera di facilitazione vaticana. Draghi conosce la diplomazia e i raffinati modi gesuiti, il leader del Cremlino considera Francesco leader di indiscussa statura mondiale (è il capo di stato che più volte è stato ricevuto in Vaticano), memore anche della legittimazione solenne che il Pontefice gli diede nel 2013 allorché gli spedì una lettera domandandogli di evitare bombardamenti sulla Siria di Assad. Il Papa, insomma, sarebbe il promotore di un grande appello delle più alte personalità religiose coinvolte nella partita in corso. Un’iniziativa che non partirebbe da Kirill né da Shevchuk né dal patriarca della neonata Chiesa ortodossa di Kiev, benedetta da Costantinopoli e maledetta da Mosca: ciascuna delle parti la riterrebbe irricevibile. Se invece fosse opera dell’attore super partes per eccellenza, qualche risultato si potrebbe ottenere. Non sarà il tanto agognato pellegrinaggio papale a Lugansk, ma dato il quadro compromesso non si può sperare di meglio, ora.
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