I vescovi ucraini pronti alla battaglia, il Papa resta prudente

Osservatore Romano e Avvenire concordi nel sottolineare l'immaturità dell'occidente, ricordando che "gli errori del passato non sono di una parte sola"

Matteo Matzuzzi

Francesco promuove una giornata di digiuno e preghiera per il 2 marzo, Mercoledì delle Ceneri. L'arcivescovo maggiore di Kiev, Sviatlosav Shevchuk, parla dell'aggressione "dell'armata russa"

È prudente l’appello che il Papa ha lanciato ieri mattina per la pace in Ucraina al termine dell’udienza generale.  “Nonostante gli sforzi diplomatici delle ultime settimane si stanno aprendo scenari sempre più allarmanti”, ha detto, aggiungendo che “ancora una volta la pace di tutti è minacciata da interessi di parte. Vorrei appellarmi a quanti hanno responsabilità politiche, perché facciano un serio esame di coscienza davanti a Dio, che è Dio della pace e non della guerra; che è Padre di tutti, non solo di qualcuno, che ci vuole fratelli e non nemici. Prego tutte le parti coinvolte perché si astengano da ogni azione che provochi ancora più sofferenza alle popolazioni, destabilizzando la convivenza tra le nazioni e screditando il diritto internazionale”. Francesco ha quindi promosso per mercoledì 2 marzo, inizio della Quaresima, “una giornata di digiuno per la pace”.  Il Papa resta super partes, perché solo così  – se necessario – potrà far valere tutta la sua forza, “politica” e spirituale, per facilitare una mediazione tra russi e ucraini. Se si sbilanciasse pubblicamente, a favore dell’uno o dell’altro contendente, sarebbe subito tacciato di essere parte in causa e la sua ipotetica missione finirebbe ancora prima di iniziare. Chi invece lascia da parte la diplomazia è l’arcivescovo maggiore di Kiev-Halyc, Sviatoslav Shevchuk, secondo cui “la decisione della Federazione russa certifica il ritiro unilaterale della stessa federazione dal lungo processo di pace che doveva garantire il ripristino di condizioni di vita dignitose nei territori temporaneamente occupati dall’Ucraina che hanno subìto l’aggressione dell’armata russa”. Ancora, “il gesto del presidente della Federazione russa ha distrutto le basi del lungo processo di ripristino della pace in Ucraina, ha creato il presupposto per una nuova ondata di aggressione armata contro il nostro  stato e ha aperto le porte a un’operazione militare su vasta scala contro il popolo ucraino”. Per questo  – dice ancora l’arcivescovo – “oggi consideriamo la difesa della nostra terra natale, della nostra memoria e della nostra speranza, del nostro diritto di esistere concesso da Dio, come una responsabilità personale e un sacro dovere dei cittadini ucraini. Difendere la nostra Patria è un nostro diritto naturale e il nostro dovere civico. Siamo forti quando siamo insieme”.

 

Ancora più duro è stato il patriarca della Chiesa ortodossa dell’Ucraina, Epifanio, considerato scismatico da Mosca perché protetto da Costantinopoli che avrebbe così invaso la giurisdizione moscovita. “Vi invito a combattere per lo stato ucraino, a sostenere le forze armate e tutti i nostri difensori. Insieme possiamo resistere. Con l’aiuto di Dio, vinceremo questa battaglia. La verità è dalla nostra parte. Il nostro stato è sostenuto dalla comunità mondiale, da tutte le persone di buona volontà. Milioni di persone offrono le loro preghiere quotidiane per la pace e per l’Ucraina”. Toni che non aiutano la Santa Sede che, infatti, ha dato scarsa eco alle parole di Shevchuk, proprio per non mostrare sostegno palese alla causa rappresentata dall’arcivescovo maggiore di Kiev-Halyc. Anche perché a leggere i commenti dei giornali più vicini alla realtà vaticana, a emergere è una posizione che per nulla sposa le istanze occidentali e  – soprattutto – americane. Perché se è vero, come ha scritto l’Osservatore Romano, che “la responsabilità della guerra è sempre di chi la fa invadendo un altro paese” bisogna chiedersi se la “strada per trovare una soluzione pacifica va ricercata dentro gli schemi bellici delle alleanze militari che si espandono e si restringono o piuttosto in qualcosa di nuovo in grado di farsi anche carico degli errori del passato (che non stanno tutti da una parte sola)”.  Avvenire è dello stesso parere: “La disfatta plateale che abbiamo sotto gli occhi è figlia anche dell’immaturità dell’Europa”. “Anche a parecchie nazioni del grande mosaico europeo  va addebitata una pesante responsabilità. Quella di non aver puntato i piedi, di non aver arginato il sistematico dispiegamento di armamenti di nuova generazione da parte della Nato in quelle stesse repubbliche che un tempo facevano parte del Patto di Varsavia e che ora Washington e l’Alleanza hanno affollato di missili a ridosso dei confini russi, ben sapendo che la sindrome dell’accerchiamento è per Mosca un nervo scoperto fin dall’epoca degli zar”. Se Mosca non piace, Washington piace ancora meno.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.